Percentuali a 5 Stelle e gli errori degli altri

Gli ultimi sondaggi elettorali vedono in testa il Movimento 5 Stelle con oltre il 30 per cento delle intenzioni di voto. Segue il Partito Democratico con il 25 per cento. Forza Italia e Lega sono dati al 12 per cento. Gli altri partiti, Fratelli d’Italia e gli scissionisti del Pd, sembrano poter arrivare al 5 per cento. Un panorama di tipo weimeriano - com’è stato detto - che, a guardare il livello di decomposizione del bipolarismo, non promette niente di buono. Per effetto delle decisioni della Corte costituzionale è immaginabile un intervento legislativo di armonizzazione dei sistemi di voto delle due Camere, ma niente di più. La stabilizzazione del prossimo Parlamento è legata unicamente alla conquista del 40 per cento da parte del movimento di Grillo o delle altre coalizioni. Infatti, voteremo nel 2018 con il proporzionale, considerato che l’evoluzione tripolare del sistema è di ostacolo all’introduzione di variabili di tipo maggioritario. È altamente probabile che i grillini saranno chiamati a governare l’Italia, con tutte le incognite che questo evento comporta, a causa delle ambiguità che quel movimento ancora nasconde.

La migrazione di milioni di elettori dagli schieramenti tradizionali verso il “limbo” del grillismo ha molte ragioni. Alcune di queste sono collegate agli effetti indotti dalla globalizzazione. Alle cause esterne si sommano, però, a precise responsabilità interne, attribuibili ai partiti di destra e di sinistra, che ben avrebbero potuto scongiurare. Destra e sinistra infatti hanno fatto di tutto per delegittimarsi a vicenda, fino ad arrivare alla delegittimazione di se stessi, soprattutto attraverso le lotte intestine, come attesta la recente scissione del Partito Democratico. Il “Partito della Nazione” non era una bufala. Avrebbe potuto assolvere la funzione di arginare l’incognita grillina ma, la presunzione renziana da un lato e la rancorosa reazione berlusconiana per l’applicazione della Legge Severino dall’altro, hanno fatto naufragare tutto.

Beppe Grillo è un buon interprete degli umori degli elettori. L’offerta politica deve essere netta, magari rozza, ma percepibile, come sono le semplici parole d’ordine del grillismo: onestà, costi della politica, obbedienza. In questo senso, gli atti di “autoritarismo”, con le espulsioni nei confronti di chi dissente (Parma, Genova), non sono stati valutati negativamente dal corpo elettorale, perché sono interpretati come doveri di responsabilità nei confronti del capo. L’avversione sanguigna nei confronti dei partiti tradizionali ha raggiunto livelli altissimi. La voglia di cambiamento pare inarrestabile. “Se ne devono andare» e basta, dice la gente. La benevole comprensione nei confronti delle disavventure giudiziarie del sindaco di Roma, Virginia Raggi, lo dimostra. Non hanno spostato di una virgola le intenzioni di voto. Per questo, l’invito a non inseguire la demagogia M5S sul tema dell’onestà, pare quanto mai verosimile. C’è intransigenza assoluta per “gli altri”, comprensione invece per il grillismo.

Al diffuso stato d’animo di rigetto nei confronti del vecchio, si sommano gli errori madornali commessi tanto a sinistra quanto a destra, in piena consapevolezza. A sinistra la furibonda lotta intestina, condotta da Massimo D’Alema contro Matteo Renzi, è colpevolmente ignara della recente storia politica europea, che vede emarginata la sinistra-sinistra in tutti i Paesi. Il vuoto d’idee del partito di Forza Italia, e le sue palesi contraddizioni tra chi si dice amico della Lega e chi immagina un futuro di autonomia nel solco del Ppe, determina immobilismo e confusione. E poi, l’ingenua, gratuita legittimazione del partito di Grillo da parte di alcuni rappresentanti di quel partito, in occasione delle ultime elezioni comunali, pur di far dispetto a Renzi, è segno di assoluta insipienza.

Infine, la vittoria della non-coalizione del “No” al referendum del 4 dicembre scorso, ha visto, com’era prevedibile, un solo vero vincitore: Beppe Grillo. Pare proprio difficile ribaltare i pronostici elettorali. Il Movimento 5 Stelle, salvo sorprese, sarà il primo partito della XVIII Legislatura. È immaginabile che non guadagnerà il premio di maggioranza, legato alla conquista del 40 per cento, ma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dovrà comunque incaricare il leader indicato da Grillo per formare il nuovo Governo. Le alleanze preelettorali, finora sdegnosamente respinte, saranno a quel punto ben accette per spirito di patria. Anzi saranno proposte dallo stesso Grillo. Qui nasce il dilemma. Aventino o collaborazione? In entrambi i casi Grillo avrà comunque vinto, perché su di lui ricadrà la responsabilità di prendere in mano i destini dell’Italia o passare alla storia come il duplicatore di Weimar.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55