Partito Democratico,   tanto tuonò che piovve

In illo tempore, dixit Saragat... Scuserete il latinorum a un vecchio socialdemocratico come lo scrivente ma quando ce vo’, ce vo’; diciamocelo. Quella di Giuseppe Saragat del 1947 resta probabilmente l’unica scissione, per di più destra, come si diceva allora, coi crismi storici autentici; altro che Antonio Gramsci e “Il Manifesto”, due fratelli comunisti lontani e vicini che, separandosi a sinistra dal corpus partitico, hanno bensì fatto nascere due soggetti politici ma diminuendone oggettivamente la forza dell’originale. Così accadrà anche per i due nuovi (nuovi?) partiti alle viste di nascere nei prossimi giorni, posto che della scissione s’è parlato e praticato ogni strada e sentiero mediatico come se fosse già stata attuata, e invece, invece pure. Ecco come s’è ridotto l’ex partito a vocazione maggioritaria invocato e proclamato, anche dal podio, da Matteo Renzi, e ora restituito al ruolo di tutti gli altri. Per di più col rischio del regalo di questo ambìto primo posto alla cialtronaggine politica grillina, producendo una sorta di cacio sui maccheroni, ma di natura profondamente indigesta per il Paese.

“Historia docet”, la storia insegna ma soltanto dopo, molto dopo gli eventi scissionisti, tant’è vero che il Renzi che ha fatto ruotare intorno “all’esigenza indefettibile di stabilità” la sua politica post-rottamazione interna, si illude - ma forse è proprio ciò che in cuor suo vuole - della sopravveniente scarsissima stabilità gentiloniana. Già, ma chi se ne importa, come si dicono gli scissionisti di tutti i tempi, la cui passione odierna è di puro stampo autoreferenziale, con una differenza: che oggi di passione se n’è vista, se ne vede e se ne vedrà ben poca. Tuoni, fulmini e saette, ma verbali, di puro stampo mediatico e social, senza spinte ideologiche e - figuriamoci - ideali, a parte la spiccata volontà renziana di liberarsi di un Partito Democratico inquinato dai “comunisti” che, per l’appunto, se ne sono andati facendogli un piacere. Anche se, a dirla tutta, non sarà così semplice proprio perché la natura di questa decisione sfiora l’antipolitica, si affianca al male di oggi, a quel populismo di cui lo stesso Renzi ha voluto a volte sfruttare l’onda, come s’è visto al referendum, per non dire della ditta di Bersani & D’Alema, che s’accorgerà ben presto che chi segue quell’onda ne porta l’acqua al mulino più genuino, cioè e purtroppo alla ditta Grillo & Raggi.

Del resto, lo stesso apparato social e mediatico, ha - come si dice - pompato sulla scissione contribuendo a far compiere un salto spaventoso alla già temeraria corsa dei voltagabbana parlamentari che, fra Camera e Senato, hanno raggiunto la quota di 396, trecentonovantasei, avete capito bene. Accade, venticinque anni dopo l’annichilimento per via mediatico-giudiziaria dei partiti democratici del dopoguerra, a parte i postcomunisti miracolati, l’inevitabile dissoluzione di qualsiasi tessuto connettivo, alias partito, contagiando dunque i successori di Achille Occhetto al quale era stato consentito, grazie appunto a quel circuito o circo, di poter rispondere, con la faccia tosta da impunito, alla domanda “Come commenterebbe un avviso di garanza a lei medesimo?”. “Che sarebbe un colpo di stato!”. Occhetto dixit, appunto. Ma i tempi cambiano, come si dice. O almeno, dovrebbero. Soprattutto nel fu centrodestra che, come ricordava il direttore, necessiterebbe di una potente cura (ri)costituente unitaria se vuole offrire un’alternativa per dir così moderata e comunque credibile-possibile, in primis agli stessi imperversanti e incapaci grillini. Chi vivrà vedrà, ma il tempo stringe.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56