Scola-Spina: a sentirli  sembrano due Chiese

Il tragico Natale di Berlino ha visto fra le sue vittime anche una giovane italiana, Fabrizia Di Lorenzo, dottoressa in Relazioni internazionali cui la città di Sulmona ha tributato un addio corale e commosso. Tutto il Paese è rimasto sotto shock per questa morte dovuta ad un terrorista dell’Isis, fortunatamente incontrato dalla polizia a Sesto San Giovanni e ucciso dopo che aveva ferito uno dei due coraggiosi poliziotti. Il tema era subito stato centrato sulla “nominatività” dei due agenti anche se, oggettivamente, sarebbe stato complicato tacerne i nomi dopo le foto e le notizie date dalle agenzie.

Ma, a ben vedere, il tema più vero e sul quale la stampa in genere si è soffermata, ma soltanto sul lato locale, cioè sulle esequie cui ha partecipato e parlato il Vescovo di Sulmona, Angelo Spina. Ma su quanto detto dal Vescovo, non si può citare in toto l’adagio latino del “verba volant, scripta manent”, soprattutto perché le parole vescovili più che volare alto sono, per dir così, decollate a metà, là dove hanno sottolineato di quella morte, se non come fonte, certamente come causa principale il trovarsi a Berlino della povera Fabrizia in quanto costretta a “trovare lavoro altrove perché questa nostra amata terra non riesce a dare speranza alle nuove generazioni che cercano lavoro e dignità della persona umana”.

Il Vescovo ha comunque tacciato di follia il gesto criminale del terrorista tunisino. Un po’ poco, vorremmo dire. Non tanto, o non soltanto, perché il Vescovo sulmonese ha messo in primo piano, quasi facendone un pistolotto di polemica politica, la comunque indubbia mancanza di lavoro in Italia per molti giovani, ma soprattutto perché non ha puntato l’indice sui più autentici motivi dell’assassinio. Il termine follia sembra quasi diminuire quell’atroce gesto, schedandolo fra le malattie di mente, quando invece s’è trattato di ben altro, come sanno del resto le centinaia di cristiani morti ammazzati per mano del terrorismo del fondamentalismo islamico, sui quali, peraltro, lo stesso Papa Francesco ha steso il manto del martirio. Martiri non in nome e per conto di una mano follemente omicida, ma uccisi in obbedienza a un’ideologia distruttiva che affonda le proprie radici nell’humus criminale di un fondamentalismo che è, al tempo stesso, religioso e politico. Probabilmente il Vescovo non voleva allargare il discorso - diciamo - di circostanza, anche se non è arduo immaginare che per non pochi prelati cattolici prevale spesso la prudenza nei casi in cui entrano in ballo tematiche con un fondo di religione e preferiscono aggirare la questione anche in nome di un ecumenismo interreligioso che, tuttavia, rischia, come in questa vicenda, di confondere non solo il sacro col profano, ma di sorvolare proprio sulle motivazioni squisitamente “religiose” di quell’infame gesto, col risultato di fare un duplice danno: alla verità e agli stessi seguaci di Maometto; ai quali manca l’immortale regola liberale della “libera Moschea (Chiesa) in libero Stato”, anche se raggiungere tale condizione, come è stato difficile per noi italiani ed europei, lo sarà molto di più per i mussulmani. Ma che almeno ci provino, diciamo noi.

C’è però un’altra Chiesa e un altro Cardinale, quello di Milano, che quasi a compensare e riempire il vuoto del ragionamento lasciato dal suddetto Vescovo ha messo le cose a posto, chiamandole col proprio nome e cognome. Il Cardinale Angelo Scola non ha mezzi termini e se ne guarda bene dal tirare in ballo qualsiasi malattia mentale a fronte di un gesto che ha ucciso anche la povera Fabrizia in una strage in un mercatino natalizio berlinese. Invitandoci innanzitutto a non avere paura che è, invece, lo scopo dei terroristi dei quali, ma non solo di loro, “occorre contestare l’ideologia jihadista, opponendosi ad essa... annunciando Cristo con più vigore e meno complessi... senza chiudere gli occhi di fronte ai Paesi che fomentano il discorso estremista, nella speranza che si tratti soltanto di un discorso... Abbiamo di fronte una minaccia globale e troppo tempo abbiamo perso svendendo le nostre convinzioni, la libertà religiosa in primis... mentre i nostri fratelli musulmani stentano ad articolare un’alternativa chiara, scaricando troppo spesso le responsabilità soltanto sulle condizioni, pure oggettive, di ingiustizia economica e sociale”.

La preziosa omelia di Scola nella notte della Natività non poteva non riaffermare il significato più alto di “libertà, una delle parole chiave del nostro tempo; un bene molto prezioso, ma paradossalmente tanto più rivendicato, quanto più offeso e tradito sol che si pensi alla guerra e al terrorismo, alla libertà religiosa o a quella dell’educazione”. Parole come pietre, un messaggio di chiarezza, una lectio magistralis, ma solo di uno dei due altissimi prelati. Della stessa Chiesa. Non duplice.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:02