Auguri non formali e meritati a Berlusconi

Non sono formali, innanzitutto. Parlo degli auguri che, temo molto, non li leggerà. Ma in nome dell’inscalfibile scripta manent, qualsiasi formalità dovrebbe scomparire di fronte, più che all’età, alla realtà storica del Cavaliere. Storia e realtà non vengono tirati in ballo a caso (tra l’altro il nostro direttore si appella spesso ai due termini in politica) soprattutto perché la doppia “natura”, imprenditoriale e politica, di Silvio Berlusconi costringe chiunque a farci i conti. I quali tornano quasi sempre, specialmente nell’imprenditoria dove, a parte quel Milan venduto - e lo dico da interista col cuore trafitto da analoga vicenda - ha modellato con le sue televisioni il costume italico. L’ha fatto bene o male? L’ha fatto, ed è quello che conta per la storia dei mass media italiani. A parte il fatto che il progetto di un’alternativa al monopolio Rai era di per sé una faccenda scelta non solo o non soltanto da capitano coraggioso, ma da liberale in un mercato da aprire nel solco tracciato dal Popper della società aperta. Adesso c’è la trattava con Vivendi e Bolloré probabilmente nutre un sogno più ampio di Premium, come si sussurra. Chi vivrà (vivendi, appunto) vedrà.

Il fatto più vero e più storicamente concreto è quello segnato in politica. Non facciano velo un’antica amicizia e non intralcino gli ostacoli e gli stessi errori del Cavaliere. Chi non compie errori in venti e più anni di politica? Soprattutto alla luce di una dichiarazione dell’interessato che la politica non gli interessa più: meglio stare con figli e nipotini. Ma sarà poi vero? Sarà cioè possibile al Cavaliere disamorarsi della Polis proprio nel momento in cui si intrecciano crisi economica, referendum, ipotesi di elezioni anticipate? Per di più con una situazione del centrodestra nel quale spicca la crisi di consensi di Forza Italia, dal 2008 in poi? FI non è una sigla o una vaga idea per cogliere consensi. No, è e resta il partito creato da Berlusconi, modellato da lui stesso, cresciuto grazie a lui sulle ceneri dei partiti distrutti da Tangentopoli grazie all’indispensabile contributo registico del Pds: non sarebbe stato sufficiente l’input davighiano di “rovesciare l’Italia come un calzino” se in cabina di regia non ci fosse stato anche il soggetto collettivo dei comunisti. Aver vinto contro queste due potenze è il vero claim berlusconiano, la più autentica medaglia d’oro al valore politico. E storico. Non entriamo nel campo cosparso di mine, alcune messe dallo stesso, dei suoi governi, delle scelte di fondo, interne e internazionali, del loro respiro riformatore e, va da sé, liberale. Qualsiasi sia il giudizio, quello che conta è l’oggi e il domani. È il presente e il futuro, del suo partito.

Volente o nolente Berlusconi resta non soltanto il capo di Forza Italia, ma un ineludibile punto di riferimento per nemici e amici. Persino per i falsi amici (che non a caso ci tiene a far notare) dei quali è difficile accorgersi se non quando è troppo tardi. Ma il super problema che, molto probabilmente, anche nel suo felice compleanno gli farà capolino in testa, è la evidente crisi di Forza Italia, non solo sulla strada di quei consensi che soltanto con Stefano Parisi a Milano ha avuto una sorprendente risalita, ma sulla sua intima non struttura partitica che rischia di condurre all’anarchia e alle divaricazioni, come s’è visto, ma, soprattutto, alla sua disfunzionalità nel contesto terribile di quest’Italia. Ma, dicono, Berlusconi è sempre stato contro l’idea stessa di partito. Sarà anche vero, ma non meno vero è che non può esistere in democrazia, compreso il coacervo odierno col grillismo galoppante, una evanescente struttura collettiva che sia soltanto l’occasione della vendemmia alle elezioni.

Il competitor di oggi, Matteo Renzi, non è D’Alema, Fassino, Veltroni o Prodi. È un diverso, più di destra che di sinistra venendo dalla ex Democrazia Cristiana, un ganassa come si dice da noi ma che sa il fatto suo in questo quadro politico, promettendo, annunciando, vincendo ma anche perdendo sbagliando. Referendum o non referendum, sì o no, vittoria o sconfitta, resta sempre il limite vistoso in FI o centrodestra che dir si voglia: debolezza, instabilità, fragilità, disorganizzazione e lontananza dal ruolo di effettivo “competitor”, sia verso Renzi che verso Grillo. Creare un movimento nuovo e vincente, questa è stata la grande chance vinta. Strutturare un movimento in un partito vero e proprio è una sfida più ardua, dura, complessa ma entusiasmante. Per chi ne ha voglia, beninteso. Altrimenti sarà la solita attesa del Ponte sullo Stretto. En attendant Godot. E comunque, auguri. Anzi, auguri Presidente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01