Chi ha perso davvero?

In un Paese nel quale, all’indomani di ogni elezione, non si trova nessun leader che ammetta la propria sconfitta ma, al contrario, insieme agli altri dichiara di avere vinto, il compito dell’osservatore è, a un tempo, divertente e drammatico, proprio in funzione delle mille verità-bugie che si espandono nell’etere.

Forse è più facile spiegare i perché di una sconfitta, ma anche in questo caso, prendiamo ad esempio la Lega, il suo leader Matteo Salvini non è votato per nulla all’autocritica, semmai alla critica altrui. Non si dimentichi, infatti, che poche ore dopo la vittoria di Beppe Sala a Milano, e riferendosi a Stefano Parisi, Salvini ne parlava come di una “minestra riscaldata”, omettendo il punto più significativo della performance di Parisi che ha portato l’alleanza di centrodestra, dai disastri dei mesi scorsi a un brillante risultato quasi alla pari con Sala, la cui vittoria finale è dovuta davvero ad un pugno di voti.

Voti che al ballottaggio sono arrivati al candidato del centrosinistra mentre sono venuti meno a quello del centrodestra. E qui sta il problema se non addirittura la risposta al mancante pugno di voti. Analizzando attentamente i flussi del secondo turno, a parte che un elettore milanese su due, in tutto circa 500mila, ha disertato le urne, si nota subito che la diminuzione di voti per Parisi rispetto al primo turno è dovuta ovviamente all’astensione, ma con una targa precisa, quella della Lega Nord. E chi sostiene che a Milano non ha vinto Sala ma ha perso Parisi, omette di dire che questa diserzione leghista al seggio è stata decisiva per abbassare il risultato di Parisi, peraltro già messo in crisi dopo la decisione di Rizzo di Sel e di Cappato dei Radicali di convergere su Sala. La distanza fra costui e Parisi, al primo turno, era di circa cinquemila voti, al ballottaggio è stata invece di 17mila voti, dovuti alla decrescita delle astensioni e, soprattutto, agli endorsement di cui sopra, con qualche voterello dei pentastellati, in generale rimasti a casa.

Purtroppo sono rimasti a casa, invece di correre a votare Parisi, diversi elettori della Lega, il che ha fatto la differenza. Non c’entrano né le minestre riscaldate di salviniana espressione e neppure le critiche di Bobo Maroni a Parisi di avere volutamente dimenticato nel ballottaggio i partiti della sua alleanza, a cominciare dalla Lega, il che corrisponde al mettere le mani avanti, più che a spiegare i fatti. I quali parlano fin troppo chiaro, anche per lo stesso Maroni che nella sua città, Varese, non soltanto ha ottenuto poche preferenze, ma, soprattutto, ha assistito alla vittoria del centrosinistra, dopo oltre vent’anni di leghismo governante. Aggiungiamo, per completezza di informazione, che per il sindaco varesino leghista, il corretto Attilio Fontana, la sconfitta non era affatto prevedibile, cosicché l’identica sorte l’ha accomunato col buon Piero Fassino.

Sono cose che capitano, soprattutto quando non si è più in sintonia con la realtà effettuale che è segnata, più che dal mitico “cambiamento” (Renzi dixit) da una forte presenza di protesta, di rabbia, di rancore, di risentimenti, di disuguaglianze. Fra le cause la disattenzione se non l’abbandono delle periferie, lasciate spesso in balia degli immigrati vecchi e nuovi, della piccola criminalità diffusa, sullo sfondo di una crisi sociale mondiale. Renzi si è illuso e ha illuso a proposito della crescita, che pure denota qualche punticino in più, ma non è percepita affatto come tale, e infatti la gente non spende, i consumi sono fermi, le pensioni sono basse e il lavoro latita. Renzi doveva ascoltare di più il suo sentimento da “sindaco” che fidarsi delle indagini di mercato, compiendo il massimo sforzo per far stare meglio la sua gente, che lavora o che è in pensione. Se si hanno in tasca più soldi da spendere la qualità della vita migliora, diceva un antico adagio. E il merito, in questo caso, va a chi governa non a chi contesta a forza di slogan giustizialisti, demagogici, populisti con contorno di promesse fantascientifiche.

Sta di fatto che Renzi non ha vinto. Ci rendiamo conto che questa è un’analisi sommaria e schematica. Ma è il voto che è stato schematico, premiando l’unica opposizione del grillismo contro tutto e contro tutti. La vedremo presto all’opera questa opposizione diventata governo di importanti città. Alla quale nessuno farà sconti. Ma intanto sta lì.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:41