Il futuro della Pubblica amministrazione

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica economica (Dipe) Alessandro Morelli ultimamente ha dichiarato: “Stiamo mettendo in campo una serie di norme che rappresentano una vera rivoluzione liberale dal punto di vista del partenariato tra pubblico e privato nei servizi pubblici. Con queste nuove norme abbiamo intenzione di scardinare un’impostazione che parte da presupposti ideologici guardando verso valori liberali vale a dire fiducia nel pubblico, inteso come amministratori pubblici e nel privato. In Italia ci sono 8mila Comuni e 34mila stazioni appaltanti. Se il malaffare fosse così diffuso avremmo le pagine dei giornali invase ogni giorno da inchieste ed avvisi di garanzia ed invece non è così”. La dichiarazione del sottosegretario Morelli testimonia da sola la volontà a dare vita ad una procedura che per anni nel nostro Paese è stata confusa con un banale “protocollo di intesa tra le parti” cioè come un impegno reciproco ad attuare azioni programmatiche senza però, al tempo stesso, riconoscerne la incisività e la essenzialità del rispetto delle varie fasi, dei vari impegni, delle relative responsabilità. Per questo motivo, quasi a livello didattico, ritengo utile descrivere prima quali siano le novità del nuovo partenariato pubblico-privato per poi, anche in linea con l’esigenza sollevata dal sottosegretario Morelli, elencare l’assenza finora di veri, operativi e misurabili Ppp nel nostro Paese.

Ebbene il nuovo Codice Appalti, vigente dal Primo luglio del 2023, nell’ottica semplificazione e razionalizzazione della materia dei contratti pubblici, ha ridefinito la nozione di partenariato pubblico-privato, chiarendo che non si tratta di una tipologia di contratto contrapposta al contratto di concessione – come poteva apparire dalla disciplina precedente – bensì di una complessa operazione di tipo economico in cui vi rientra anche l’accordo concessorio. Il partenariato viene quindi definito all’articolo 174 del Decreto legislativo n. 36/2023 (cioè il Codice Appalti vigente dal primo luglio 2023) come un’operazione economica in cui ricorrono congiuntamente le seguenti caratteristiche:

1) tra un ente concedente e uno o più operatori economici privati è instaurato un rapporto contrattuale di lungo periodo per raggiungere un risultato di interesse pubblico;

2) la copertura dei fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto proviene in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata, anche in ragione del rischio operativo assunto dalla medesima;

3) alla parte privata spetta il compito di realizzare e gestire il progetto, mentre alla parte pubblica quello di definire gli obiettivi e di verificarne l’attuazione;

4) il rischio operativo connesso alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi è allocato in capo al soggetto privato.

È importante soffermarsi sul punto b) in cui si dice chiaramente che “i fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto proviene in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata” ma per la parte pubblica anche se minima occorre una certezza della copertura. Questa considerazione la affronterò in modo più mirato dopo. Per il loro carattere generale, le norme sul partenariato pubblico-privato (Ppp) precedono quindi la disciplina delle figure contrattuali tipiche, quali la concessione, la locazione finanziaria e il contratto di disponibilità. Ed in particolare il nuovo Codice prevede che il ricorso al partenariato pubblico-privato sia preceduto da una valutazione preliminare di convenienza e fattibilità. La valutazione si deve focalizzare:

1) sull’idoneità del progetto a essere finanziato con risorse private;

2) sulle condizioni necessarie a ottimizzare il rapporto tra costi e benefici;

3) sulla efficiente allocazione del rischio operativo;

4) sulla capacità di generare soluzioni innovative;

5) sulla capacità di indebitamento dell’ente e sulla disponibilità di risorse sul bilancio pluriennale, anche attraverso un confronto tra la stima dei costi e dei benefici del progetto di partenariato, nell’arco dell’intera durata del rapporto, con quella del ricorso alternativo al contratto di appalto per un arco temporale equivalente.

Anche in questo elenco legato alla valutazione della proposta ritengo utile porre la massima attenzione al punto in cui si dice che va posta particolare attenzione: “Sulla capacità di indebitamento dell’ente e sulla disponibilità di risorse sul bilancio pluriennale”. Sempre nel Codice è prevista una norma che, in linea con quanto indicato dalla direttiva europea concessioni (direttiva 2014/23/Ue), specifica che un elemento imprescindibile della concessione è, appunto, il trasferimento al concessionario di un rischio operativo, legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende:

1) un rischio dal lato della domanda, ovvero il rischio associato alla effettiva presenza di una domanda dei lavori o dei servizi che sono oggetto del contratto;

2) oppure un rischio dal lato dell’offerta, ad esempio il rischio che la fornitura dei servizi non corrisponda, per fatti non imputabili all’operatore, al livello qualitativo e quantitativo dedotto in contratto (in tal caso l’operatore vedrà ridotto il suo corrispettivo in denaro);

3) oppure un rischio da entrambi i lati innanzi indicati.

E sempre nel nuovo Codice si precisa che le opere oggetto di concessione si distinguono in:

1) Opere calde: “Quelle dotate di una intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi di utenza, in misura tale da ripagare i costi di investimento e di remunerare adeguatamente il capitale coinvolto nell’arco della vita della concessione”;

2) Opere tiepide: “Quelle che, pur avendo la capacità di generare reddito, non producono, tuttavia, ricavi di utenza in misura tale da ripagare interamente le risorse impiegate per la loro realizzazione, rendendo così necessario un contributo”;

3) Opere fredde: “Quelle per le quali il privato che le realizza e gestisce fornisce direttamente servizi alla Pubblica amministrazione e trae la propria remunerazione da pagamenti effettuati dalla stessa (ospedali, carceri, scuole et similia)”.

In relazione alle opere tiepide, nel Codice è previsto che, se l’operazione economica non può da sola conseguire l’equilibrio economico-finanziario, allora è ammesso un intervento pubblico di sostegno. L’intervento pubblico può consistere in un contributo finanziario, nella prestazione di garanzie o nella cessione in proprietà di beni immobili o di altri diritti. Anche in questo caso mi soffermo sulla frase: “se l’operazione economica non può da sola conseguire l’equilibrio economico-finanziario, allora è ammesso un intervento pubblico di sostegno”. Quindi riporto di seguito le tre fasi, i tre passaggi che nel Codice caratterizzano il PPP e che rappresentano, a mio avviso, punti critici dello strumento:

1)i fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto proviene in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata”;

2)sulla capacità di indebitamento dell’ente e sulla disponibilità di risorse sul bilancio pluriennale”;

3)se l’operazione economica non può da sola conseguire l’equilibrio economico-finanziario, allora è ammesso un intervento pubblico di sostegno”.

Perché leggendoli attentamente emerge il motivo della assenza quasi totale di esperienze di PPP nel nostro Paese, emerge il motivo di una non disponibilità del privato a partecipare, in modo organico e concreto, a forme di partenariato pubblico privato ed ha ragione il sottosegretario Morelli quando intende attuare uno strumento così innovativo ed essenziale per evitare il default amministrativo della Pubblica amministrazione, centrale e locale, soprattutto nel processo di infrastrutturazione, nel processo di manutenzione ed in quello di gestione dei servizi.

La causa del limitato ricorso a tale strumento va ricercato essenzialmente nella assenza di una certezza di risorse da parte del pubblico, sì anche se, come detto in precedenza, di risorse inferiori rispetto a quelle garantite dal privato. Di solito infatti le varie stazioni appaltanti pubbliche (Ministeri, Regioni, Comuni, grandi aziende) dichiarano l’interesse ad attuare un Ppp e preannunciano che determinati interventi potranno essere parzialmente garantiti da risorse previste in determinati leggi pluriennali e questa genericità e questa assenza di certezze di coperture nel breve periodo trasforma queste “dichiarazioni di volontà” in impegni non trasferibili in quello che, come ho tentato di descrivere prima, si caratterizza come un vero rogito notarile tra le parti.

Ed allora cosa vuole il privato, o meglio quali sono le garanzie che il privato spererebbe di leggere in una chiamata formale da parte del pubblico; il privato vorrebbe una norma che precisasse: “Per l’attuazione sia di interventi infrastrutturali, sia di gestione di servizi legati alla mobilità in ambito urbano, viene assegnato ogni anno un importo pari al 2,5 per cento del Prodotto interno lordo. Nell’attuazione delle varie iniziative troveranno particolare copertura le forme di partenariato pubblico-privato”. In realtà questa disponibilità, o meglio, questa certezza di disponibilità consentirebbe all’organismo pubblico, centrale o locale, di annunciare il proprio interesse all’attuazione di una attività precisando che alla sua copertura si provvederà con quanto previsto in un capitolo di spesa certo. Da molto tempo cerco di prospettare questa ipotesi, da molto tempo faccio riferimento ad una norma che è praticamente presente nelle leggi finanziarie di 23 dei 27 Paesi della Unione europea, da molto tempo ricordo che solo con una simile norma potrebbe prendere corpo anche un piano concreto di messa in sicurezza del territorio. Sicuramente non sarò ascoltato neppure questa volta, mi conforta però il fatto che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Cipes abbia dichiarato questa urgenza così spero che il Governo ed il Parlamento capiscano il motivo per cui il ricorso al Ppp sia rimasto finora solo un ricorso mediatico, sia rimasto e rischi di restare ancora un banale ricorso utile per la componente pubblica solo per dimostrare di esistere.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 04 aprile 2024 alle ore 14:04