La Banca nazionale svizzera va controcorrente

Quali implicazioni sul commercio con l’Eurozona?

Nell’ultima settimana, la Banca centrale europea (Bce), la Federal Reserve (Fed) e la Banca d’Inghilterra (Boe) hanno confermato una politica monetaria prudente, mantenendo invariati i tassi d’interesse. I tre rispettivi banchieri centrali, Christine Lagarde, Jerome Powell e Andrew Bailey, non hanno escluso tagli dei tassi nella seconda metà del 2024, ma attendono ulteriori dati per confermare le attuali stime sull’inflazione. Da queste voci si distingue quella di Thomas Jordan, presidente della Banca nazionale svizzera (Bns), che il 21 marzo ha abbassato il tasso guida di 25 punti base, portandolo dall’1,75 all’1,5 per cento. Si è trattata di una decisione inattesa, dato che la maggior parte degli analisti si aspettava che i tassi rimanessero invariati per almeno altri tre mesi. Alla domanda sul perché sia stato il primo a procedere con l’allentamento della politica monetaria, Jordan ha risposto che “non è una questione se siamo primi o ultimi, prendiamo la decisione nel momento in cui siamo convinti che sia la cosa giusta da fare”. L’inflazione in Svizzera ha raggiunto i minimi da ottobre 2021, suggerendo alla Bns che fosse terminato il momento di attuare una politica monetaria restrittiva volta a contenere l’aumento dei prezzi. L’annuncio della riduzione dei tassi ha generato reazioni notevoli sui mercati finanziari e ha posto le basi per un possibile prossimo raggiungimento della parità tra il franco svizzero e l’euro.

Nell’ultimo decennio, due date chiave aiutano a comprendere come sia variato il valore del franco. La prima è il 15 gennaio 2015, quando la Bns ha abbandonato la soglia minima di cambio di un euro per 1,20 franchi che era stata introdotta a settembre 2011 per contenere l’apprezzamento della moneta elvetica nel culmine della crisi del debito sovrano nell’Eurozona. In pratica, la Banca nazionale svizzera ha reso possibile scambiare un euro con meno di 1,20 franchi. La decisione ha seminato scompiglio sui mercati e il franco è subito decollato. Solamente qualche ora più tardi, un euro veniva scambiato per 96,52 centesimi di valuta elvetica. Dopo pochi giorni, il franco svizzero ha gradualmente iniziato a deprezzarsi rispetto all’euro fino al secondo giorno cruciale, il 19 aprile 2018, quando il saggio di cambio è tornato a 1,20. Da quel giorno, la valuta elvetica si è apprezzata in modo costante fino a inizio gennaio 2024. La recente decisione della Bns potrebbe supportare l’inizio di un nuovo periodo di deprezzamento per il franco. Per elaborare previsioni sulla durata e l’intensità di tale tendenza, occorre osservare anche l’andamento dell’euro. Pertanto, è determinante seguire le prossime comunicazioni della Banca centrale europea. Nel caso in cui la Bce continui a lasciar intendere che procederà con il taglio dei tassi d’interesse a giugno, come si attendono gli analisti, il cambio euro su franco svizzero potrebbe stabilizzarsi sulla parità. Qualora, invece, il mercato inizi a percepire un cambio di rotta dell’Eurotower come più lontano, si prospetterebbe un ulteriore deprezzamento del franco rispetto all’euro.

Un franco svalutato rende più costosi i beni provenienti da oltre i confini svizzeri. Di conseguenza, diviene meno conveniente per i cittadini della Confederazione importare e fare acquisti fuori dal loro territorio nazionale. L’economia elvetica, invece, ne trae vantaggio. Le molte aziende svizzere orientate all’esportazione, infatti, vedono diventare più competitivi i loro prodotti venduti all’estero. A mitigare l’aumento del costo delle importazioni, tuttavia, è la recente modifica della legge sulla tariffa delle dogane che ha previsto l’eliminazione dei dazi sui prodotti industriali d’importazione a partire dal primo gennaio 2024. “Mentre in passato i dazi servivano a proteggere l’industria nazionale dalla concorrenza straniera, oggi rincarano le materie prime importate nel nostro Paese. Con la loro abolizione e la relativa semplificazione delle procedure doganali, le aziende in Svizzera potranno procurarsi i materiali di cui necessitano a prezzi più bassi e ridurre così i loro costi di produzione”, si legge in una relazione della Segreteria di Stato dell’economia svizzera (Seco). Tale modifica, che ha richiesto un decennio di attività preparatoria, incontra il favore anche dei produttori europei, in primo luogo degli italiani che esportano i loro beni verso il confinante Canton Ticino.

Aggiornato il 29 marzo 2024 alle ore 10:58