“Selling Italy by the pound”

“Vendendo l’Inghilterra alla libbra” (Selling England by the pound), così i Genesis battezzavano uno degli album iconici del progressive degli anni ‘70 (il 1973 per la precisione); quel capolavoro della musica moderna non meriterebbe di essere associato alle fosche vicende di un paese sull’orlo della catastrofe economica, sennonché il titolo (mutatis mutandis) fotografa con impietoso dettaglio l’evolversi della sciagurata parabola dell’Italia la cui traiettoria autodistruttiva, iniziata con la perdita della sovranità monetaria e l’adesione (a condizioni irrazionali) alla moneta unica, sembra, complici l’infausta deflagrazione dell’epidemia “cinese” e l’insipienza di un esecutivo pericolosamente inadeguato, destinata a concludersi (in tutti i sensi) nel harakiri economico dell’accesso al prestito del Meccanismo europeo di stabilità (il famigerato Mes). A dispetto delle disonestamente edulcorate e cloroformizzanti narrazioni costruite dal sistema informativo mainstream riguardo alla vicenda (confermanti la giustezza dell’aforisma di Karl Kraus che definiva il giornalismo una forma di prostituzione della penna e della parola) è bene dire subito che si tratterebbe di un pessimo affare – sia in termini economici che politici – per molti e fondati motivi.

Innanzitutto appare di dubbia razionalità “prendere a prestito” denaro in gran parte proprio (dei favoleggiati 36 miliardi ben 15 sono già stati versati dall’Italia al Mes); se proprio c’è bisogno di liquidità forse sarebbe più logico liquidare il fondo, recuperare quanto versato e amici come prima; l’importo del finanziamento è palesemente sproporzionato; non è tecnicamente possibile spendere un ammontare di tale portata – nel programmato termine biennale – limitatamente alle sole spese sanitarie legate all’emergenza Covid-19 (che lo stesso Carlo Cottarelli ha quantificato in soli 4 miliardi), specialmente in un paese che “storicamente” si è dimostrato inefficiente nell’impiego dei fondi comunitari ; il ricorso al Mes lancia al mercato il pericoloso segnale di una difficoltà ad accedere alle ordinarie fonti di finanziamento (emissione titoli del debito pubblico) e potrebbe plausibilmente esporre l’Italia a speculazioni al rialzo sui tassi di interesse; il finanziamento non è (come vorrebbero farci credere) “senza condizioni” (mi rifiuto categoricamente di far ricorso a quell’obbrobrio linguistico di “condizionalità”), esso resta sottoposto alle regole del trattato istitutivo del Mes (che, precisiamo, è un organismo “privato” al di fuori del perimetro delle istituzioni Ue) le quali possono essere modificate solo rinegoziando il trattato (il che non è avvenuto né potrebbe avvenire in tempi brevi) non con un semplice scambio di lettere o dichiarazioni di intenti prive di qualsivoglia effetto giuridico; ne consegue che resta in piedi il meccanismo della sorveglianza rafforzata (il cosiddetto Early warning system) sicché, qualora dovessero essere rilevati “rischi” in ordine al puntuale rimborso del prestito, l’Italia dovrebbe mettere in atto “manovre correttive” i cui effetti (specie in un momento di tragico calo del Pil come quello attuale) aprirebbero foschi scenari “greci”; ma soprattutto il credito del Mes è un credito privilegiato; accedere ai fondi Mes comporta ipso facto la “juniorizzazione” dei titoli del debito pubblico (in parole povere l’eurocreditore deve essere rimborsato prima degli altri i quali si mettono in coda) rendendone inevitabilmente più costose le future emissioni.

Ammesso e non concesso che il prestito del Mes fosse “conveniente”, come gli scaltri piazzisti della disinformazione filogovernativa vanno ripetendo come un mantra, detta asserita “convenienza” sarebbe polverizzata dall’inevitabile aumento dello spread sui titoli del debito pubblico (per non parlare dei rischi di collasso del sistema bancario che detiene una consistente quantità di titoli di Stato). Da ultimo non si può che osservare che l’importo del prestito (36 miliardi) è quasi pari all’ammontare dei tagli operati dai governi italiani ai bilanci della sanità negli ultimi dieci anni (39 miliardi) in ossequio ai “parametri” dell’eurozona il che aggiunge alla vicenda un tocco perverso di grottesca insensatezza. Sotto il profilo politico vi sono solidissimi motivi per ritenere che si tratti di una cinica operazione finalizzata ad avvelenare i pozzi della democrazia attraverso la creazione di un vincolo esterno particolarmente stringente in grado di condizionare, limitare o impedire tout court la libertà di azione di un futuro governo “non gradito” alle oligarchie europee già traumatizzate dalla vicenda Brexit ed in crollo verticale di credibilità per la “scoordinata” (eufemismo) gestione della crisi pandemica.

È lecito infatti temere che un qualsiasi esecutivo ritenuto inaffidabile (da un consesso di funzionari appartenenti ad un organismo “privato”) possa far scattare la richiesta di rimborso anticipato delle somme e la “messa in quarantena” (per usare un termine tristemente in voga) dell’economia italiana con applicazione di misure di austerity, svendita di asset industriali e, magari, l’imposizione di una sanguinosa patrimoniale sul risparmio privato (vero obbiettivo dei circoli finanziari sovranazionali). In questi rispetti il Mes, lungi dall’essere “un’opportunità” è una pistola puntata alla tempia dell’Italia, una trappola usuraia al servizio degli opachi giochi di potere di forze politiche elettoralmente minoritarie, screditate da un’alleanza innaturale ed incapaci di tutelare l’interesse nazionale delle quali il paese rischia di restare perennemente ostaggio. C’è di che essere preoccupati.

Aggiornato il 14 maggio 2020 alle ore 11:28