Mulini a vento e ipocrisie tributarie

Col fulminante sarcasmo che gli era proprio, Winston Churchill scrisse che “una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi dentro un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”. In precedenza, l’economista Maffeo Pantaleoni, in modo ancor più tranchant, ebbe ad affermare che “qualunque imbecille è in grado di inventare e imporre nuove tasse”. Vi è da credere che all’Ufficio studi di Confindustria non conoscessero il caustico aforisma dello statista inglese altrimenti dubito che – involontariamente confermando l’asserto di Pantaleoni – avrebbero partorito il progetto di tassare del 2 per cento i prelievi in contanti oltre i 1.500 euro mensili concedendo un bonus del 2 per cento per i pagamenti effettuati con carte elettroniche di vario tipo.

Al netto delle proclamate finalità di “contrasto all’evasione” (ipocrita feticcio retorico con il quale il bulimico apparato tributario vorrebbe giustificare ogni abuso finalizzato a soddisfare il suo illimitato appetito) non si può eludere il dato fatto che ciò che si propone è l’istituzione di una vera e propria “tassa sul contante” indifendibile sotto tutti i profili. Dal punto di vista strettamente giuridico l’imposta inciderebbe su denaro che ha già scontato prelievo fiscale sia come reddito che come risparmio depositato (salvo volere ipotizzare che l’evasore sia così ingenuo dal far transitare contante su un conto bancario oggetto di monitoraggio costante da parte dell’amministrazione finanziaria) sostanziando in tal modo una duplicazione di imposta assolutamente illegittima.

Il goffo escamotage terminologico di etichettare come “commissione” detto prelievo non appare idoneo a mutare la sostanza delle cose. In realtà detta “commissione” verrebbe girata dalle banche allo stato al fine di finanziare il citato credito di imposta; in questo senso non si può negare che ci si trova dinanzi ad una prestazione patrimoniale – a mente dell’art. 23 della Costituzione – di natura sostanzialmente tributaria che, come tale, dovrebbe conformarsi al disposto dell’articolo 53 della Carta fondamentale agganciandosi ad una specifica capacità contributiva del “prelevante sopra soglia”.

Ma appare estremamente problematico desumere detta capacità contributiva dal mero utilizzo di uno strumento di pagamento anziché un altro né, sotto altro aspetto, potrebbe qualificarsi – con pindarico volo di fantasia – come imposta patrimoniale salvo presumere, sfidando la logica, che il maggior uso del bancomat comporti una superiore capacità contributiva rispetto a chi il denaro lo conserva nel proverbiale materasso...

Sotto il profilo organizzativo il meccanismo “premiale” del credito di imposta per l’utilizzo degli strumenti alternativi di pagamento rischia concretamente di riverberare effetti negativi sul funzionamento degli uffici finanziari. E infatti, essendo il credito di imposta fruibile al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, una larga platea di contribuenti i quali, non presentano detta dichiarazione per mancanza di debiti di imposta sarebbero costretti a presentarla oberando l’amministrazione finanziaria di una massa di dichiarazioni da processare valutabile in diversi milioni di unità, senza contare che molti contribuenti potrebbero vedersi annullato il beneficio fiscale dai costi amministrativi di presentazione della dichiarazione.

A fronte di siffatte conclamate criticità è poi tutto da dimostrare che l’erario possa trarne un effettivo beneficio in termini di incremento del gettito e riduzione del “nero” potendo il meccanismo essere eluso mercé l’utilizzo di plurimi conti correnti o conti all’estero (perfettamente legali) o per mezzo di un uso “selettivo” del pagamento elettronico presso gli esercizi (e.g. grande distribuzione, gestori di public utilities) per beneficiare del credito di imposta continuando ad utilizzare il contante per il pagamento spot di prestazioni artigianali-professionali.

Da ultimo non si può che contestare l’odiosità di un balzello che si fonda su una (non confessata ma molto intuibile) generalizzata presunzione di colpevolezza del contribuente (nel momento in cui assume che l’uso del contante equivalga automaticamente a pagamenti in nero), interviene arbitrariamente sulla libertà di scelta del cittadino, fonda un controllo pervasivo sulle abitudini di spesa consentendo pericolose “profilazioni” e rischia di assumere connotati regressivi considerato che le maggiori utilizzatrici del contante sono le fasce più anziane, economicamente deboli e meno scolarizzate della popolazione.

Aggiornato il 01 ottobre 2019 alle ore 17:44