Le casse professionali alla prova del decreto “Cura Italia”

Il Decreto legge 16 marzo 2020, n° 17, cosiddetto “Cura Italia” (**) si occupa di pressoché tutti i lavoratori, in misura più o meno ampia ed incisiva (lavoratori subordinati privati e pubblici, collaboratori coordinati e continuativi, partite Iva ovvero autonomi iscritti all’Inps, autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’Ago; commercianti e artigiani, stagionali del turismo e degli stabilimenti termali, operai agricoli a tempo determinato, lavoratori dello spettacolo, persino i disoccupati) con una varia ed articolata serie di interventi: ammortizzatori sociali, indennità, permessi, congedi parentali o bonus baby-sitting e via dicendo. Al di fuori dal mondo del lavoro subordinato, spicca la previsione di un’indennità di 600 euro “su base mensile, non tassabile, per lavoratori autonomi e le partite Iva. L’indennizzo va ad una platea di quasi 5 milioni di persone” (nota di Palazzo Chigi). Nelle 108 pagine del provvedimento emerge però un grande assente: i liberi professionisti con una propria cassa previdenziale (avvocati, commercialisti, architetti, geometri, consulenti del lavoro, ingegneri, medici, giornalisti, notai).

Per questi “figli di un Dio minore”, nel testo originario del decreto, non compare alcuna misura, alcuna tutela, alcuna considerazione se non “ad excludendum”. Ci pensino le relative casse, sottintende il provvedimento. Come se il blocco del paese causato dal Coronavirus non impattasse sull’attività di un avvocato, di un medico, di un commercialista e così via. Come se un avvocato, un medico, un commercialista e via dicendo, con figli minori a casa da scuola e quindi da accudire, non avessero le stesse difficoltà e bisogni degli altri lavoratori tutelati.

Solo all’ultimo secondo, pare, Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, ha chiesto l’inserimento un comma (il comma 8-bis dell’articolo 22) che estende il bonus di 600 euro per l’acquisto di servizi di baby-sitting, mediante “il libretto di famiglia di cui all’articolo 54-bis, legge 24 aprile 2017, n. 50” anche “ai lavoratori autonomi non iscritti all’Inps, subordinatamente alla comunicazione da parte delle rispettive casse previdenziali del numero dei beneficiari”. Poco, si dirà, ma sempre meglio di niente.

A questo punto la palla passa in ogni caso alle Casse previdenziali che saranno messe alla prova dal punto di vista organizzativo e finanziario: organizzativo, in quanto dovranno comunicare all’Inps il numero dei beneficiari (potenziali? Che hanno presentato richiesta? A chi? E come?) e coordinarsi con questa per consentire la corresponsione del bonus baby-sitting; finanziario perché, in un momento di eccezionale emergenza come quello che il paese sta vivendo le Casse dei professionisti non possono far finta di niente e sottrarsi dall’assolvere alla funzione sociale per cui sono state create ed esistono. Con un moto d’orgoglio dovranno prevedere una qualche forma di “ammortizzatore”. Eventualmente, in considerazione delle situazione spesso non florida in cui versano, anche circoscrivendo la platea dei beneficiari ai percettori di redditi più bassi e pure sotto forma di riduzione percentuale della contribuzione minima obbligatoria. Se non lo faranno, il senso della loro “mission” e della loro stessa esistenza ne uscirà fortemente vulnerato.

(*) Professore ordinario di diritto del lavoro dell’Università di Modena e Reggio Emilia

(**) Mentre il presente articolo viene inviato in stampa il Decreto non risulta ancora pubblicato, causa necessità di ulteriori “limature”.

 

 

Aggiornato il 18 marzo 2020 alle ore 14:13