In arrivo una contestata Local Tax

Nel bilancio per il 2020 si prevede una delega per l’istituzione a partire dal 2021 di una nuova imposta locale, denominata Local Tax. Un oggetto misterioso che non mancherà di suscitare polemiche ed anche un esteso contenzioso da parte dei soggetti che la dovrebbero pagare, dalle attività commerciali a quelle artigianali, alla pubblicità. Il nuovo tributo dovrebbe infatti unificare Cosap (canone occupazione suolo pubblico), dell’Icp (imposta di pubblicità) del Cimp (canone istallazioni pubblicitarie) e della Tosap, cioè la tassa occupazione spazi ed aree pubbliche, sopprimendo l’intera normativa vigente (sia gli articoli 62 e 63 del Decreto legislativo 446 del 1997 articoli 62 e 63 sia il Decreto legislativo 507 del 1993 capo I e capo II).

Si tratta di un complesso di imposte locali con un gettito di alcuni miliardi, quindi con un impatto significativo sui bilanci comunali e delle imprese che li pagano. La Local Tax si presenta molto problematica; dovrebbe regolare fattispecie diverse e non unificabili. Infatti, l’attività di commercio come l’ambulantato su suolo pubblico non è assimilabile alle insegne d’esercizio ed appare curioso pensare ad una tariffa omogenea per due basi imponibili così diverse. Oppure la pubblicità, che non necessariamente occupa suolo pubblico ma può essere ubicata su suolo privato e quindi ha un presupposto differente ossia la diffusione di messaggi pubblicitari in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Per non dire dei tavolini dei pubblici esercizi come bar o ristoranti, che oggi pagano sulla base di apposite tariffe.

Ma è possibile creare una sola imposta da tributi così diversi? Qui la cosa si complica ulteriormente. Infatti, la legge di Bilancio 2020 prevede l’adozione da parte dei comuni di una unica e misteriosa “tariffa standard”. Cioè una tariffa arbitraria che oggi non esiste nel nostro ordinamento per i tributi, anche locali, ma è prevista solo per comodità statistica per i servizi o trasferimenti dal bilancio statale agli enti locali. Dal punto di vista tributario, risulta assurdo accorpare tributi di diversa specie: da un lato il canone di occupazione suolo pubblico che ha natura patrimoniale, dall’altro l’imposta comunale sulla pubblicità e il canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità, che hanno natura mista, dall’altro ancora la tassa sulle insegne d’esercizio o la tassa occupazione suolo pubblico che hanno invece natura tributaria e sono imposte a tutti gli effetti.

Insomma, una “tariffa” a forte rischio di incostituzionalità, in quanto di fatto determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento su situazioni simili. Per non dire della rinascita, con la Local Tax di tassazioni assurde come quella sull’ombra, sulle bandiere, sui tubi e simili, che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri si affanna a smentire ma vengono di fatto ripristinate.

Essendo basata su una tariffa, la Local Tax non sarebbe più una tassa o una imposta, ma un canone senza la previsione di tariffe massime, con tariffa standard unica per tutte le fattispecie, non si sa con quale criterio unificante. In aggiunta la legge non contempla le maggiorazioni od esenzioni oggi applicate dai comuni per medi o grandi formati di insegne, per categorie di territorio o per luminosità. E non è esplicitato se questi criteri siano devoluti ai comuni, in quanto questi elementi non sono richiamati nelle norme che prevedono il regolamento e quali incidenze avranno in futuro sui canoni.

E se la nuova tassa prevede che i comuni debbano operare a parità di gettito, mancano i criteri di applicazione da parte dei comuni, operazione praticamente impossibile. Infatti la distribuzione del carico fiscale è oggi decisa dai comuni, dalle città metropolitane e dalla province in modo autonomo ed a seconda del carico fiscale gravante su ogni fattispecie oggetto di imposizione. È facile prevedere che questa normativa produrrà una vera e propria stangata, in presenza delle note difficoltà di bilancio degli enti locali.

Aggiornato il 22 gennaio 2020 alle ore 12:36