Ridurre il gap: le sfide del mercato del lavoro

Adattarsi ai cambiamenti causati dagli avanzamenti tecnologici non è solo una preoccupazione dell’imprenditore, ma dovrebbe esserlo anche degli altri partecipanti al mercato del lavoro. Se difatti cambia, come è cambiato, il modo di fare impresa, devono cambiare anche quadro normativo e relazioni industriali; perché sono cambiate le competenze richieste ai lavoratori. Diversamente si rischia di essere, tutti, tagliati fuori.

L’Italia, specialmente se guardiamo ai giovani, sta pagando a caro prezzo alcuni di questi ritardi. Per esempio, il nostro altissimo livello di disoccupazione giovanile si scontra con il dato secondo cui un’offerta di lavoro su tre rimane insoddisfatta per mancanza di candidati con skillset adeguato. Non manca dunque l’offerta di lavoro ma candidati adatti a ricoprire i ruoli disponibili sul mercato. Colmare questo skill-gap, con il mercato del lavoro in costante evoluzione, non è facile ma potrebbe essere fattibile, se un’adeguata cabina di regia politica intervenisse per pretendere la collaborazione, serrata e continua, tra imprese e centri di formazione. E per fissare come obiettivi comuni quelli di: -individuare le competenze richieste nei prossimi 5-10 anni; creare percorsi formativi capaci di massimizzare l’employability dei nostri giovani. Ma non basterebbe.

Se poi è vero che aziende e centri di formazione devono collaborare per creare un’offerta lavorativa attenta alle necessità del mercato del lavoro e alle esigenze delle imprese, è altresì necessario che gli interessati si dimostrino propensi a dedicare tempo e risorse allo sviluppo delle proprie competenze. In una realtà economico-imprenditoriale come quella moderna, l’aggiornamento continuo delle skills individuali è vitale. Capire però, da soli, dove focalizzare i propri sforzi non è un compito facile per chi cerca lavoro, soprattutto se si è giovani, per cui chi di dovere dovrebbe impegnarsi a declinare con chiarezza le competenze che rendono un candidato professionalmente attraente.

Punto di partenza potrebbero essere le competenze definite “fondamentali” nella conferenza sul Future of Jobs a Davos: soft skills, technical skills e digital skills. Esaminandole partitamente viene fuori un quadro semplificato ma comprensibile. Le soft skill sono quell’insieme di meta-competenze che permettono al singolo di integrarsi in qualunque contesto professionale e comprendono le generali capacità di comunicare, lavorare in squadra, risolvere problemi e apprendere.

Per technical skills, invece, si intendono le competenze tecniche che permettono di svolgere specifiche mansioni all’interno del contesto aziendale scelto o da scegliere.

Le digitals skills, infine, sono le capacità di utilizzare le risorse digitali per esaltare le proprie capacità. Indistintamente dall’età o dal settore, tutti gli operatori del mercato (politica, imprese, management, centri di formazioni, individui) dovrebbero focalizzarsi sullo sviluppo e sulla cura di queste tipologie di competenze per massimizzare il valore professionale dell’offerta di lavoro esistente e di quella che verrà.

L’impresa che cresce senza creare valore sociale, arricchisce i detentori di capitale a discapito dei lavoratori e, alla lunga, danneggia territorio e società perché aumentano le diseguaglianze e le tensioni sociali. Di contro, eccessivi investimenti nel sociale rischiano di sottrarre risorse all’innovazione e condurre, nel medio periodo, a calo di competitività del sistema produttivo. Trovare il giusto equilibrio tra investimenti nell’innovazione e investimenti sociali è la grande sfida anche per lo Stato contemporaneo che stenta ad affrontare la riforma del welfare dopo la rivoluzione digitale.

L’impresa italiana, più di qualunque al mondo, ha bisogno del supporto di tutti i settori della società per sfidare i competitors europei e del Far East. Ha bisogno di una finanza disponibile a fornire capitali e paziente nell’aspettare i risultati; di una politica autorevole al punto da far accettare un contesto normativo e fiscale che supporti l’iniziativa privata e mostri attenzione, in caso di difficoltà oggettiva, e fermezza, in caso di negligenza; di organismi sindacali e para-sindacali convinti nel creare programmi di formazione professionale per nuove competenze; infine, più di tutto, ha bisogno di attori protagonisti, i lavoratori, intenzionati a sfruttare ogni occasione (e risentirsi per eventuale mancanza di occasioni) per colmare lo skill gap che ci divide da Ue e mondo. Perché è questo gap che ancora troppo spesso ci impedisce di crescere come vorremmo e dovremmo.

Aggiornato il 26 novembre 2019 alle ore 13:51