Salario minimo: la via maestra è la concertazione

Salario minimo o salario contrattuale? Posto così si tratta di un modo furbesco per non affrontare il problema e le sue possibili contraddizioni ed interessi.

Nel sindacato, specialmente nella Cisl, c’è sempre stata una allergia ad interventi dello stato nella contrattazione, intuizione che ha dato importanti risultati economici negli anni Settanta; inoltre gli interventi legislativi sul salario possono diminuire l’influenza del sindacato nel rapporto con i lavoratori. Le caratteristiche del mondo del lavoro e della produzione non sono facilmente assimilabili con una legge uguale per tutti, non a caso si è trovata la soluzione che i contratti di lavoro firmati dai sindacati più rappresentativi vengono recepiti “erga omnes.

Queste preoccupazioni, per quanto legittime in una situazione di crisi  economica, mostrano i loro limiti e, se alla crisi aggiungiamo la deregulation che è avvenuta in questi anni di cosiddetta Seconda Repubblica, nei confronti del mercato del lavoro e dunque anche dei contratti di lavoro, la situazione diventa esplosiva.

Il problema che si pone non è solo di salario minimo, ma fondamentalmente il problema è il potere di acquisto dei salari. Parlare di salario minimo senza affrontare il problema del potere di acquisto dei salari vuol dire non voler affrontare la questione centrale che attanaglia molte famiglie e giovani coppie, che nonostante  la loro attività lavorativa rasentano la soglia della povertà. Solo affrontando congiuntamente il salario e il suo potere di acquisto è possibile dare una risposta reale al bisogno, che in modo silente, grida giustizia.

Senza voler entrare nel merito delle tematiche del cambio dalla lira all’euro, che comunque è stato positivo per il sistema economico, voglio qui solo evidenziare che con la scusa dell’euro abbiamo avuto un aumento dei prezzi al consumo tutto interno al nostro mondo della distribuzione e delle utility che di fatto l’Istat non ha mai rilevato. I nostri governanti dovrebbero riaprire una nuova stagione della concertazione con le parti sociali al fine di affrontare ambedue le problematiche, un tavolo dove ognuno dei soggetti metta sul tavolo le sue disponibilità e richieste: il Governo una manovra fiscale di abbassamento delle tasse o sul cuneo fiscale o sul reddito, sui premi di produzione e ore di straordinari, le utility nell’individuare delle fasce sociali per l’abbassamento delle tariffe che in questi anni si sono triplicate senza l’ottimizzazione dei servizi, la distribuzione dovrebbe individuare un paniere di prodotti di consumo da calmierare in quanto necessari per l’espletamento dei bisogni primari. Da questa riflessione comune, nel comporre i vari interessi presenti al tavolo, dove ognuno ci mette qualcosa di suo per il bene comune del Paese, si può dedurre, non in modo ragionieristico, un salario minimo per poter sopravvivere dignitosamente. Adesso qualcuno si scandalizzerà e griderà all’attentato al libero mercato, specialmente quella borghesia che vive di appalti e sovvenzioni pubbliche.

Il problema non è difendere ideologicamente il libero mercato come una sacra scrittura, ma permettere con un mix di soluzioni la difesa del salario dalla speculazione e dalla povertà. Il libero mercato come tutto ciò che è un prodotto dell’uomo è imperfetto per sua natura e con tutto il rispetto gli economisti non gestiscono una scienza esatta ma un mix di regole che vanno calibrate di volta in volta. Il libero mercato è certamente una garanzia delle libertà politiche, ma il fine ultimo da non dimenticare mai è il benessere dell’uomo, da qui la necessità di regole come quelle di Bretton Woods per aggredire la globalizzazione nei suoi aspetti di finanza speculativa e monetaria che possono essere responsabili del fallimento degli Stati.

Aggiornato il 02 luglio 2019 alle ore 13:33