Senza le idee non nascono nuove imprese

Per far ripartire l’economia bisognerebbe partire dal concetto che, “senza le idee non nascono nuove imprese”, in quanto esse sono la base da cui parte il processo d’innovazione.

Se analizziamo la teoria economica, si noterà che tutto nasce dalle idee, in quanto esse favoriscono la nascita di nuove produzioni e, in simbiosi con la comprensione del contesto storico in cui si dovrà operare, formano le radici su cui far germogliare i nuovi progetti. Partiamo dal primo elemento, cioè “l’Idea” e il suo effetto innovativo. Essa deve garantire il miglior modo di produrre un bene, utilizzando le risorse esistenti, per generare un ritorno dell’investimento superiore rispetto al presente. Già l’economista Joseph Schumpeter teorizzò un sistema in cui vi era la presenza interconnessa di tre attori: un soggetto con un’idea, un imprenditore che la realizzi in fabbrica e una banca che finanzi il progetto. Tramite l’accesso al credito, l’imprenditore concretizzava il nuovo prodotto e, con i guadagni futuri, restituiva i soldi alle banche.

Oggi nel nostro Paese esiste un problema di accesso al credito, soprattutto per le industrie più piccole, dettato dalla regolamentazione europea, nota ai più come “Basilea 3”. Il secondo elemento è l’ambiente in cui operano gli attori economici. Il nostro Paese è fondato su una biodiversità economica, tipica dei Paesi poveri di materie prime ma ricchi di talenti e ingegno. Infatti, l’80 per cento delle nostre aziende è rappresentato da piccole e medie imprese, il che ha favorito da un lato la creazione di zone fortemente specializzate in determinati prodotti e, dall’altro, ha garantito il costante stimolo alla concorrenza tra gli attori, con la creazione di nuove professionalità e il superamento della produzione standardizzata tipica delle grandi industrie.

Con la crisi economica che ha colpito il mondo, ci siamo trovati in una situazione di estrema fragilità, stretti tra un’Unione europea in crisi di identità, sotto l’influenza più che preponderante della Germania e una globalizzazione senza regole, che ha messo in crisi il nostro sistema economico e valoriale. Il prossimo Governo dovrà predisporre una nuova politica economica, guidata da un unico obiettivo chiaro, cioè la riduzione della disoccupazione. Questo processo potrà avvenire solo se verranno rimessi al centro dell’azione politica i ceti medi produttivi, che sono la spina dorsale del nostro Paese.

Partiamo dall’assunto che il lavoro non si può creare per legge ma, come già affermava Adam Smith, tramite le leggi si crea l’ambiente favorevole allo sviluppo, a patto che esse vengano continuamente rinnovate per far fronte ai mutamenti della realtà sociale. C’è bisogno di avere un mercato regolamentato, con norme certe e uguali per tutti, al fine di favorire una vera concorrenza che permetta alle imprese di competere sulla qualità dei propri prodotti e non sul costo della manodopera. Per favorire questo risultato, il Governo dovrà chiedere e ottenere, in sede europea, una revisione dei regolamenti di “Basilea 3”, fatti su misura per le grandi aziende del Nord Europa, ma fortemente penalizzanti per il nostro sistema industriale, per consentire alle nostre aziende di accedere al credito, favorendo i giovani nella creazione di nuove attività nei campi dell’innovazione tecnologica e anche dell’economia tradizionale.

Infatti, se il sistema del credito non supporta le nuove attività, le idee alla base delle stesse non si traducono in iniziative concrete. Se questo trend dovesse continuare, ci troveremmo con una desertificazione industriale tale da condannare il nostro Paese all’irrilevanza e alla povertà nel prossimo futuro. E questo è un peso che non ci possiamo permettere di far gravare né sulle spalle degli attuali cittadini né su quelle delle nuove generazioni.

Aggiornato il 04 ottobre 2017 alle ore 10:35