Fisco amico? ma mi faccia il piacere!

Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e compagnia cantante celebrano in questi giorni la fine di Equitalia come fosse una vittoria della civiltà fiscale.

Sia chiaro, ognuno può intendere la civiltà a modo suo, tanto è vero che il senatore a vita Giorgio Napolitano dice che può intendersi civile solo un Paese che votasse a scadenza naturale della legislatura. Bene, anzi male, tornando a Equitalia, la cui geniale invenzione è stata purtroppo una delle poche ma gigantesche azioni scriteriate di Giulio Tremonti, le cose stanno così.

In questi dieci anni di vita, la società pubblica di riscossione è riuscita a inanellare una serie di interventi verso i contribuenti da suscitare il brivido e l’indignazione. Parliamo di contribuenti perché non ci riferiamo ovviamente agli evasori totali, a quelli che hanno nascosto i capitali all’estero, oppure trasferito la residenza, oppure ancora spostato sedi e aziende in paradisi fiscali e creato scatole cinesi per frodare il fisco. Perché è di tutta evidenza quanto, nei confronti di costoro, sia necessaria ogni azione possibile per punire e recuperare il dovuto.

Noi ci riferiamo a quei contribuenti non sconosciuti che per un motivo o per l’altro, dal più giustificabile a quello meno, a un certo punto hanno iniziato a saltare qualche scadenza, oppure ad omettere qualche pagamento, o ancora a farlo ma in misura minore. Per non parlare dei tanti, perché di tanti si tratta, che per colpa di un sistema cervellotico, sono incappati in errori di conteggio, omissioni di quadro, oppure si sono fidati dei calcoli “sbagliati” del commercialista e via dicendo. Come se non bastasse, a proposito di consulenti, non sono stati poi nemmeno pochi quelli che hanno subito delle vere e proprie truffe, alcune arrivate alla ribalta dei giornali, da parte dei cosiddetti fiscalisti di fiducia.

Insomma, il contribuente pagava e il contabile anziché versare al fisco, versava sui suoi conti.

Infine, ciliegina sulla torta, non si può non sottolineare con dispetto, che da almeno una ventina di anni il nostro sistema fiscale nella insaziabile ricerca di risorse a sostegno di una spesa pubblica dissennata, ogni anno cambia e aggiunge voci, addizionali e poste incrementali.

Per farla breve, in Italia a proposito di civiltà di un Paese, si è creata nel tempo una macchina impositiva e riscossiva, infernale, ingarbugliata, complicata, ossessiva, tanto da generare una vera e propria lotta fra contribuenti e amministrazione. In questo senso, dalla seconda metà degli anni Duemila, Equitalia si è distinta per una serie di comportamenti cosiddetti persecutori talmente aggressivi da finire all’attenzione quotidiana dei giornali, televisioni e mezzi d’informazione. Tralasciando per rispetto i tanti casi drammatici che hanno reso l’Italia campionessa in negativo per aggressività riscossiva, quello che nel tempo ha fatto tracimare il vaso è stato questo.

Primo, una serie di leggi che consentivano a Equitalia di caricare sull’importo presuntivamente omesso, una cifra che fra multe, sanzioni, interessi, eccetera, portava al raddoppio della sorte iniziale.

Secondo, l’invio a pioggia di milioni di cartelle sbagliate, tanto da essere definite pazze, la cui contestazione, per via dell’inversione dell’onere della prova fiscale, che solo in Italia resiste, ha portato alla disperazione dei cittadini costretti a difendersi.

Terzo, la burocrazia e l’incomunicabilità assurda degli apparati pubblici, che fra loro nonostante l’obbligo non si parlano, che hanno costretto la gente, colpita da cartelle o accertamenti sbagliati, a perdere giorni a fare file da terzo mondo per produrre la prova degli errori.

Per non parlare poi delle esecuzioni non dovute, dei fermi amministrativi “allegri”, delle notifiche incomplete e incomprensibili anche ai più esperti, che hanno primeggiato in questi anni. Insomma, un quadro che sommato ai ricorsi più o meno fisiologici, alle scadenze ormai mensili di qualche tassa, alla crisi che ha impoverito tutti, ha condotto a un cul-de-sac da rivolta fiscale e da delirio sociale.

È per questo che la “genialità” del Governo Renzi ha spinto per un verso alla cosiddetta fine di Equitalia e per l’altro alla rottamazione dei debiti fiscali scaduta il ventuno aprile scorso. E qui cari amici viene il bello della politica italiana, Equitalia è stata trasferita all’Agenzia delle entrate senza però cambiare una sola virgola delle sue prerogative e inoltre la rottamazione sta andando male. Male perché le risposte in molti casi sono giunte con notevole ritardo rispetto agli obblighi, perché da quanto si segnala contengono errori, compresa la non computazione dei rateizzi versati in acconto e perché le cartelle inserite spesso non combaciano con le richieste.

Dulcis in fundo, roba incredibile a dirsi, siccome dal primo di luglio Equitalia non esiste più, sembra che chi abbia inviato mail, oppure pec di contestazione se la sia vista tornare indietro, perché gli indirizzi risultano chiusi. Insomma, avete capito bene, lo Stato chiude Equitalia e non predispone per i cittadini che inviano le richieste una sorta di “seguimi” tale per cui pur spedendo una e-mail o una posta certificata ad Equitalia, questa giunga in automatico a destinazione.

Niente da fare, il contribuente deve armarsi di coraggio, pazienza e tempo per rintracciare i nuovi indirizzi e ricominciare da capo con la spedizione dei documenti che incolpevolmente deve tornare a produrre. Per questo e infine, vogliamo dire: “Ma è possibile tutto ciò? È fisco amico questo? É rispetto e civiltà fiscale? È rispetto dei contribuenti? Oppure davvero si vuole tirare così tanto la corda da rischiare che si spezzi e di brutto?”.

Serve una proroga dei termini, una riapertura delle adesioni e soprattutto serve che la nuova “Equitalia” non abbia più nulla delle storture e delle avidità precedenti. Solo così si può cantare vittoria e celebrare il successo per un fisco nuovo, amico e vicino al contribuente, altrimenti è solo ipocrisia e pericolosa propaganda elettorale.

Aggiornato il 04 luglio 2017 alle ore 22:53