Il “bingo” della crescita

Chiunque si occupi di statistica, econometria esercizi probabilistici, conosce bene la possibilità, appunto, di lavorare intorno a numeri, variabili, campioni, per ottenere risultati molto diversi fra loro. Del resto la famosa poesia di Trilussa sul pollo ha reso esilarante la comprensione del fenomeno, anche ai più accaniti difensori della scienza. Ecco perché appare strano che proprio in costanza di una manovra per aggiustare i conti e nel bel mezzo di un serrato confronto con l’Unione europea, arrivi la notizia del biglietto vincente alla lotteria del Pil.

Insomma, passare dallo 0,2 allo 0,4 per cento significa o essersi sbagliati del cento  per cento, oppure avere, seppure in buona fede, trascurato variabili così importanti da stravolgere le previsioni. Sia chiaro, tutto è possibile, compresa l’eventualità che anche un esperto albergatore, prevedendo, sulla base delle sue conoscenze, di affittare cento camere in un periodo noto, se ne ritrovi all’improvviso affittate il doppio. Bingo! Direbbe l’albergatore e bingo diremmo tutti, ancora di più se questo bingo ci permettesse, come ci permette, di trattare per ottenere dalla Ue una serie fondamentale di sconti e tolleranze sulla manovra del 2018, visto l’incremento del Prodotti interno lordo.

Sia come sia, restiamo più vicini a San Tommaso, vuoi perché l’ottimismo facile è pericoloso e vuoi perché conosciamo i vizietti dell’Italia. Da noi, infatti, la tecnica del bingo sugli annunci, specialmente in vista delle elezioni, è consolidata da sempre, com’è consolidata quella di trasferire al futuro i problemi di oggi. Come se non bastasse a queste due abitudini, non propriamente virtuose, in Italia da tempo se n’è aggiunta una terza, quella di nascondere la polvere sotto il tappeto per simulare pulizia. Bene, bingo o non bingo, la realtà del nostro debito, della nostra spesa pubblica, del nostro affanno nei conti e dell’insostenibilità di alcune poste di bilancio, resta esattamente tale e quale.

Insomma, ammesso e non concesso che il Pil sia così straordinariamente raddoppiato in questo periodo, fa lo stesso effetto che farebbe l’aumento dell’afflusso di acqua in una vasca sempre più bucata. Al massimo si ottiene che il livello non scenda e la vasca non si vuoti, ma sperare di riempirla come sarebbe giusto e necessario, non se ne parla. Da noi, specialmente negli ultimi anni, è sempre stato così e quando non ci ha pensato la crescita del Pil a evitare lo svuotamento, ci ha pensato l’ossessione fiscale verso i cittadini.

Insomma, delle due l’una, o si cresceva oppure la ghigliottina fiscale si sostituiva alla mancata crescita, per evitare il tracollo dei conti di bilancio. Il risultato di questa scellerata politica è stato che il debito ha continuato la sua corsa e l’imposizione fiscale pure, in un combinato disposto da dramma sociale in un Paese sbandato. Va da sé, infatti, che senza riparare i buchi nella vasca per renderla finalmente impermeabile, non c’è acqua che tenga per avere il livello che servirebbe. Ma quello che sconcerta davvero è che la politica sa perfettamente la natura e la posizione di questi buchi, ma per ipocrisia, interesse elettorale, mediocrità e mancanza di coraggio si guarda bene dall’eliminarli. Eliminarli, infatti, vorrebbe dire affrontare uno scontro durissimo con i sindacati, con le lobby di potere, con segmenti potentissimi dello Stato e con le clientele che sotto elezioni sono fondamentali. Del resto solo uno sprovveduto non capirebbe quali sezioni della spesa pubblica andrebbero aggredite per ottenere risparmi strutturali. Da noi c’è troppo Stato, troppi enti inutili, troppi Statuti speciali, troppi privilegi, troppe enclave pubbliche che godono di contratti da nababbo e troppi conflitti d’interesse che generano malaffare. In Italia c’è troppo Nord e poco Sud, troppi galli che cantano, troppo familismo e poca separazione fra poteri. Per questo si spende a fiumi, s’investe speciosamente e si tassa alla follia per offrire in cambio oltretutto servizi da vergogna. In fondo basterebbe chiedersi il perché da noi mai nessun Governo sia riuscito a fare le riforme che servirebbero davvero a salvare e rilanciare il Paese, fino ad oggi, infatti, tanti annunci e qualche riformetta rabberciata, parziale, stiracchiata.

Bene, anzi male, senza una stagione costituente che rivoluzioni in senso liberale, democratico e trasparente, fisco, giustizia, istituzioni, pesi e contrappesi veri, welfare e apparato pubblico, non c’è Pil che tenga. Restando così, nemmeno se crescessimo come la Cina risolveremmo, perché continueremmo a spendere troppo e male, a vivere nel conflitto di interessi, nel clientelismo e nel malaffare. Nemmeno ritardare gli eventi potrà servire all’infinito, perché visto che il diavolo fa le pentole e non i coperchi, fra gli eventi possibili  anziché il bingo potrebbe esserci, prima o poi, il nostro fallimento.

Aggiornato il 05 giugno 2017 alle ore 21:56