Confindustria   e riflessioni

È passato qualche mese dal referendum costituzionale, e penso che era appoggiato dal presidente di Confindustria. Poi la mente corre rapida alla situazione attuale di passività e di non crescita delle nostre aziende. E ancora da Confindustria non ci dicono quante sarebbero di proprietà straniera e quante ancora italiane. Anzi, invece di dirci cosa vogliono fare da grandi i leader in politica, in sella ai governi degli ultimi anni, come del resto i capi delle confederazioni sindacali, dovrebbero dirci cosa intendono fare per evitare l’ulteriore impoverimento del Paese. Perché solo se alla gente venisse permesso di pagare meno tasse ci sarebbero i veri soldi per riattivare gli investimenti per il mercato interno. Ma quest’aspetto, non certo secondario, non mi sembra sia stato tra le principali preoccupazioni di Confindustria che, invece, si preoccupava più della buona salute politica dei governanti che della politica industriale, manifatturiera e commerciale del Paese. E poi, cos’hanno risolto? Il referendum appoggiato da Confindustria s’è rivelato come la Caporetto di Matteo Renzi. Certi grandi industriali hanno perso il referente politico, che solo a parole si preoccupava di rilanciare il lavoro, e l’Italia è sprofondata ancora più in basso. La gente con tutte queste tasse sulla casa non ha più le scorte sufficienti alle manutenzioni ordinarie e straordinarie; così le case cascano, il patrimonio edilizio privato (quello pubblico non sta di certo meglio) si depaupera e la ricchezza media cala. Quello che stiamo pagando, insomma, è un prezzo altissimo.

Per come stanno messe le cose, i governi non sono nemmeno più in grado di chiedere alla Fiat di assumere per rilanciare l’occupazione. Perché la Fiat (al pari di tutte le grandi aziende) guadagnava vendendo la Punto in Europa, aiutata dalla svalutazione e dall’inflazione dell’epoca della Lira. Con l’avvento dell’Euro la Fiat ha spostato le produzioni serie negli Usa ed in Italia ha lasciato una minima percentuale, legata solo alla fondazione e alla memoria della famiglia Agnelli. Ora la Volkswagen continua a fare ottime automobili e vende nel mondo, al pari di tutte le altre case automobilistiche. È morta nel belpaese anche l’industria dell’auto, un tempo nevralgica come l’edilizia.

Ma veramente Confindustria pensava che la vittoria del “Sì” di Renzi avrebbe rimesso in moto l’intera manifattura italiana? Nessuno vuol fare il presuntuoso, ma la dissennata politica fiscale e creditizia ha sottocapitalizzato l’impresa italiana, ucciso l’iniziativa privata e trasformato gli italiani in gente che ha paura delle proprie idee. L’imprenditore ha ormai paura di inventare, teme le sconfitte. La politica ha ucciso i capitani d’industria, li ha fatti fuggire. E per capitani d’industria intendiamo quelle presenze che permisero al nostro Paese una miracolosa ricostruzione. Soprattutto, fa rabbia che nemmeno Confindustria riesca a monitorare quante aziende italiane siano ormai in mani francesi, tedesche, belghe, olandesi. Così si estingue una tradizione, una cultura, quella genialità italiana che tanto ci hanno invidiato e copiato. La genialità non ha prezzo, se la si sapesse valorizzare (questo è compito delle scelte politiche) farebbe nuovamente affermare il primato dell’industria italiana.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:21