La prima lavoratrice che pignora la Cgil

La storia di Romina Licciardi, prima lavoratrice in Italia costretta a pignorare i beni e i conti della Cgil nazionale e di quella di Ragusa, per vedersi pagare le spettanze e il Tfr così come riconosciuti dal giudice del lavoro, ha qualcosa di pirandelliano. E questo anche perché la Licciardi prima di pignorare la Cgil fu una delle decine di lavoratrici licenziate senza giusta causa, nella fattispecie con sospetti moventi discriminatori (c’è in corso un giudizio separato su questo), costrette a fare causa al sindacato guidato da Susanna Camusso come si trattasse di una qualsiasi azienda del mondo capitalista.

Storie di lavoro al nero, di qualifiche non riconosciute, di mansioni non regolarizzate e in taluni casi anche di molestie sul luogo del lavoro. Come capitò alla povera Simona Micieli, che ancora sta tribolando per farsi riconoscere dai giudici i torti subiti. È il lato B del sindacato. Istituzione per la quale l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è mai esistito. Nel tempo i licenziati dalla Cgil sono diventati talmente tanti, sempre in relazione al fatto che trattasi di un sindacato e non della Fiat, da convincerli ad aprire un profilo e una pagina su Facebook che per l’appunto si chiama “Licenziati dalla Cgil”.

Alla Licciardi per ora sono state riconosciute le mansioni, la differenza tra il lavoro sottopagato e quello che doveva essere secondo legge, nonché spettanze e trattamento di fine rapporto. Per una cifra poco superiore ai 20mila euro. Ma la Cgil, pur conscia della cattiva pubblicità che le può derivare dal moltiplicarsi di casi del genere, ha resistito fino all’ultimo nel non volere pagare: fino a costringere gli avvocati della Licciardi a notificare un atto di pignoramento dei beni mobili ed immobili alla sezione locale di Ragusa della Camera del lavoro, presso cui la donna lavorava, e in concorso anche alla stessa Cgil nazionale. Come si legge nell’atto depositato lo scorso 15 novembre al Tribunale del lavoro di Ragusa e firmato dall’avvocato Onofrio Di Blasi che difende la Licciardi. I terzi pignorati sono il Monte dei Paschi di Siena, la Cgil nazionale e l’Inps, cioè gli istituti dove sono accantonati tanto i soldi del sindacato di Ragusa quanto gli accantonamenti anche pensionistici dei dipendenti della Cgil.

Come si accennava, nel 2011 anche un’altra donna è stata costretta a fare causa alla Cgil, stavolta a Cosenza. Si trattava di Simona Micieli, che lamentava anche le molestie sul luogo del lavoro di un superiore e l’indifferenza con cui gli altri suoi colleghi anziani, i capi, avevano trattato la cosa. Nella memoria della Micieli, pubblicata all’epoca per intero su Facebook, si lamentava tra l’altro di aver dovuto subire grossi danni psicologici dalla situazione che si era venuta a creare.

Ma di fatti come questi, di cause di lavoro contro la Cgil nazionale o sue diramazioni locali, sia pure nel silenzio dei grandi media e nell’indifferenza della tivù, ce ne sono ormai a decine. Solo che la signora Licciardi da oggi ha anche il record di essere la prima lavoratrice italiana costretta a far pignorare i conti del suo ex datore di lavoro, e anche sindacato di rappresentanza, come si trattasse di una qualsivoglia azienda padronale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:31