No crescita inclusiva, nessuna competitività

Chi vive in Italia conosce bene i punti deboli di un Paese che ha in sé molte potenzialità, purtroppo ancora inespresse, e che non riesce a raggiungere i livelli di eccellenza, cui potrebbe mirare a causa di governi insipienti, corruzione e, più in generale “mala politica”. La disoccupazione è alta, la meritocrazia un fenomeno ancora per molti versi sconosciuto, la disparità di reddito tra i due sessi è un problema ancora tristemente all’ordine del giorno e, in questo contesto, l’inclusione sociale tende evidentemente a “scarseggiare”. A mettere nero su bianco quelle che finora erano soltanto “sensazioni”, o piuttosto “tristi constatazioni”, è arrivato lo studio del World Economic Forum 2015, quest’anno alla sua prima edizione, su Crescita inclusiva e livelli di sviluppo. Lo studio è frutto di ben due anni di ricerche sui temi della disparità di reddito e dell’inclusione sociale.

La ricerca intende verificare la presenza e l’incidenza delle due variabili attraverso una accurata analisi di 7 macroaree, scansite in dettaglio tramite l’applicazione di 140 indicatori. Le aree oggetto di indagine sono: occupazione, istruzione, imprenditorialità, livelli retributivi, corruzione, servizi e infrastrutture di base, trasferimenti fiscali e intermediazione finanziaria. Lo studio prende in considerazione ben 112 paesi, suddivisi per grado di sviluppo: 30 i paesi considerati “avanzati”. L’obiettivo primario è stato quello di mettere in luce i punti dolenti, ma anche i casi di eccellenza e le best practice esistenti, la cui conoscenza può dimostrarsi utile anche per applicazioni in altri contesti. Si sono evidenziati ampi e generali margini di miglioramento, per quanto i paesi che mostrano le performance migliori sono – come spesso accade – quelli scandinavi e, più in generale, i contesti nord europei. Tranchant il giudizio sull’Italia che, all’interno dei paesi sviluppati, è fanalino di coda: ventinovesima su trenta. Peggio di noi soltanto la Grecia. Particolarmente preoccupanti i livelli di corruzione, l’alta pressione fiscale, la scarsa etica della politica così come del business. Ma le ragioni di un così basso ranking sono attribuibili anche agli alti livelli di disoccupazione, all’insufficiente sviluppo di infrastrutture di base e digitali, allo scarso sostegno dato all’imprenditorialità giovanile. La ricerca evidenzia inoltre la scarsa presenza femminile sul lavoro e – come ricordato – l’inaccettabile divario salariale di genere, purtroppo tra i più elevati del mondo sviluppato.

Rendere la crescita socialmente inclusiva non va inteso soltanto come obiettivo di “welfare”, anche se è evidente che un generale innalzamento degli standard di vita porti benefici alla comunità nel suo complesso. Rendere la crescita più inclusiva deve porsi anche come obiettivo volto a favorire la crescita economica: come sottolinea la ricerca del World Economic Forum, i paesi più inclusivi sono anche quelli maggiormente competitivi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:20