Usa e “Made in Italy”, Fontani “svela” Miami

Gianluca Fontani è il presidente della Camera di commercio italiana a Miami. Nel nostro viaggio fra i protagonisti dei rapporti fra Italia e Stati Uniti, ci sembra importante dare voce a chi presiede una istituzione fondamentale come una Camera italiana in una delle zone più importanti per il business in America.

Presidente Fontani, quali sono i servizi che fornite agli iscritti alla vostra Camera di commercio?

La Camera di commercio italiana a Miami è attiva dal 1991. Nel corso degli anni si sono affidate a noi moltissime aziende provenienti dall’Italia, per conoscere le opportunità d’affari e per informarsi sulle caratteristiche di questo mercato. Forniamo guide orientative, liste di importatori-distributori, facciamo ricerche di mercato ed organizziamo incontri B2B, mettendo in contatto i produttori italiani con compratori professionali degli Usa.

Miami è la porta d’ingresso per il Sud America e i Caraibi, ma anche un eccezionale snodo commerciale nel sudest degli Usa, nonché una città dal grandissimo fascino. Quali sono i settori del Made in Italy più importanti?

Il “Made in Italy” è un brand che tutto il mondo ci invidia ed è ancora molto forte negli Stati Uniti, ma da solo non basta per “sfondare”. Le aziende che vogliono esportare in questo Paese devono necessariamente avere un’organizzazione commerciale impeccabile, basarsi su strategie di marketing moderne, curare nei minimi dettagli l’assistenza al cliente, soprattutto riguardo la puntualità delle consegne delle merci. I prodotti maggiormente venduti sono quelli legati alla nautica da diporto (yachts e componentistica), dove l’Italia ha una leadership internazionale. La Florida è uno dei primi mercati al mondo per l’acquisto di yachts: qui sono registrate più imbarcazioni da diporto che in tutta Europa. Altri prodotti caratteristici delle nostre esportazioni sono quelli della filiera agroalimentare (soprattutto il vino) e quelli del comparto casa-arredo, dove per i mobili di alta gamma Miami rappresenta un polo distributivo di primaria importanza sia per il sudest degli Stati Uniti che per tutta la regione latino-americana. Da sottolineare poi l’importanza che quest’area riveste per il comparto lusso italiano (alta moda e gioielleria).

Come si caratterizzano gli italiani e gli italoamericani che vivono nel sudest?

Bisogna distinguere tra l’emigrazione storica e quella più recente. Gli italoamericani di terza o quarta generazione, molto presenti in aree come Ft. Lauderdale, Tampa o Sarasota, sono oltre un milione su una popolazione di 19 milioni di abitanti. A Miami non c’è una grande comunità italoamericana tradizionale, ma a partire dalla fine degli Anni Novanta è arrivata una nuova migrazione composta da giovani, imprenditori e ricercatori. Si tratta di due comunità che si muovono con logiche diverse tra loro, ma che sono accomunate da un forte sentimento di appartenenza all’Italia e da un grande apprezzamento verso ciò che l’Italia rappresenta dal punto di vista culturale ed industriale.

Che consiglio darebbe a chi vuole prendere in considerazione di aprire un business a Miami?

Per chi vuole investire in Florida ci sono molte opportunità e facilitazioni, si pensi solo che per che aprire una società i tempi richiesti sono solamente di qualche giorno: c’è un abisso tra la burocrazia americana e quella italiana. Inoltre le agenzie di sviluppo economico delle varie Contee offrono incentivi e agevolazioni per chi crea occupazione; noi come Camera di commercio abbiamo partecipato a missioni e stretto accordi con queste agenzie proprio per sfruttare al massimo questi incentivi per le aziende italiane che si vogliono espandere in questo mercato.

Il sistema dell’internazionalizzazione italiana è in continuo cambiamento. Da imprenditore italiano all’estero e presidente della Camera italiana a Miami, cosa direbbe a chi sta lavorando su questo argomento?

È fondamentale tenere conto delle indicazioni delle associazioni di aziende che operano all’estero. Vanno eliminati sprechi, iniziative che hanno poco senso dal punto di vista commerciale, sinergie non colte. Ritengo che le Camere di commercio italiane all’estero abbiano dato prova di affidabilità, uso oculato delle risorse (poche) messe a loro disposizione, efficacia commerciale e soprattutto conoscenza del territorio. Superando grandissime ristrettezze finanziarie cerchiamo di promuovere il nostro export con tante piccole azioni quotidiane. Siamo un punto di riferimento importante per il mondo produttivo, pur ricevendo dal Governo solo una percentuale minima di copertura delle nostre spese di gestione: il resto, il 90 per cento, ce lo autofinanziamo attraverso quote associative e vendita di servizi. Penso sia giunto il momento che le Camere di commercio italiane all’estero siano considerate a Roma come un asset per l’Italia, antenne vitali per la nostra comunità di affari.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:23