Tolkien il grigio, una mostra su un uomo tranquillo

Forse per un imprinting ricevuto da bambino non amo visitare i musei e le mostre da solo, così come non mi piace andare da solo al cinema, quindi ho accettato molto volentieri l’invito di una cara amica, giornalista professionista, specializzata in musica e spettacoli, ad andare con lei alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, a visitare la mostra su J.R.R. Tolkien.

È cosa nota che ai musei d’arte moderna e “contemporanea” non vi siano mai flussi oceanici di visitatori, tranne i casi dovuti a mostre temporanee di particolare interesse e va detto che questa “Tolkien. Uomo, professore, autore” ha un pregio: ha trascinato nelle sale della Gnam persone – a cominciare da alcuni politici di questo governo – che non brillano certo per frequentazione di musei, gallerie ed altri eventi artistici. Magari qualcuno di loro, voglio sperarlo, dovendo entrare necessariamente dall’ingresso si è imbattuto in una magnifica collezione di dipinti del nostro Ottocento, molti dei quali meriterebbero una migliore esposizione e valorizzazione e potrebbero produrre ulteriori mostre a tema su argomenti spesso ignorati della nostra storia relativamente recente. In quel vasto salone, insomma, c’è una buona rappresentanza della grandezza italiana nell’arte con il suo legame con il passato più aureo, ma forse nessuno di loro se ne è accorto, tutti troppo impegnati com’erano a tagliare il nastro inaugurale.

Veniamo quindi alla mostra in maniera più esplicita e dettagliata, con le mie – no, non soltanto mie ma anche con quelle specifiche della mia amica accompagnatrice e qualcosa da altri amici che hanno visitato l’esposizione prima di noi – personali opinioni, sensazioni ed emozioni.

Lasciatemi dire che ho visto talmente tante mostre nella mia vita sin da quando ero bambino, che raramente mi lascio prendere dalla “Sindrome di Stendhal” e quando mi entusiasmo per qualcuna di esse, è perché questa ha saputo oltrepassare gli scudi di ciò che conosco e sorprendermi. Il che non è successo neanche questa volta.

Non vogliatemene troppo, ma per me a questa mostra fortemente voluta dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, se dovessi dare un voto questo non raggiungerebbe la piena sufficienza. Voglio però riconoscere un plauso e dunque un merito alla passione che ha spinto organizzazione e curatori a metterla in piedi. È qualcosa, ma la passione non è sempre sufficiente.

Le luci ottime della Gnam, studiate per illustrare al meglio le tele e le sculture delle altre sale mal si coniugano con la grafica in toni di grigio scelta per i pannelli di questa esposizione che sin da subito, proprio per un sovrabbondante uso degli stessi, si rivela essere didascalica e scolastica, documentata ma ancor più documentaristica, come un “servizio televisivo” dai minuti prefissati. Un altro pregio che voglio riconoscere è infatti che tutta la mostra sarebbe adatta a un pubblico di giovani studenti delle scuole dell’obbligo e anzi, proprio per questo invito gli insegnanti di lettere e di letteratura inglese a portare i loro discepoli a vederla. Una mattinata per saltare le sicuramente noiose lezioni scolastiche sarebbe loro giovevole, purché venga poi fatto un riassunto del profluvio delle descrizioni murali, che mancano di quella sintesi accattivante che avrebbe reso al visitatore più interesse e tramesso maggior fascinazione.

Sì perché purtroppo la mostra, lungi dall’essere “completa” – ricordo che nessuna mostra può esserlo per sua natura – è una sorta di monorotaia, un binario a senso unico e monodirezionale che privilegiando le tre tematiche “umane” del Nostro, finisce per saltare o comunque per non soffermarsi e soprattutto non deviare verso vie di fuga dall’istituzionalità della “vulgata” tolkieniana attuale e che invece avrebbe dovuto prendere con lo stesso spirito con il quale i membri della Compagnia dell’Anello compiono il loro viaggio verso il Monte Fato.

È una mostra tranquilla su un “uomo tranquillo”, voluta per non eccitare gli animi – purtroppo le solite sterili e tediose polemiche politiche comunque ci sono state lo stesso – in un peana alla “borghesia” dello scrittore di Oxford con il supporto di manoscritti autografi, di lettere e di fotografie. Una mostra all’insegna del quieta non movere, con una particolare attenzione a non “épater la bourgeoisie” evitando accuratamente di sollecitare il visitatore con rimandi alla lettura simbolica, metapolitica, esoterica (sì esoterica non è una parola oscena) e a tratti mistica, che ha invece caratterizzato per decenni gli studi italiani sull’argomento in questione. Dimenticatevi quindi le esegesi di Elémire Zolla e quelle di Franco Cardini, di Quirino Principe, per tacere di molti altri che tra gli anni Settanta, Ottanta e ancora dopo hanno miniato di porpora e oro l’opera tolkieniana.

La mostra dunque non è “psicotropa” perché non muove le menti restando perennemente in superficie, ignorando – non sappiamo se volutamente o meno – che si sarebbero potute ampliare le forze centrifughe in molti campi, dimostrando come Tolkien non sia un’anomalia ma il frutto di altri suoi grandiosi predecessori che prima di lui hanno costituito il genere che noi oggi chiamiamo Fantasy, a comininciare da William Morris, da Lord Plunkett Dunsany, da Eric Rücker Eddison e da Fritz Leiber. Per la stessa ragione, visto che è stato scelto di collocare la mostra negli spazi della Gnam, mi sarei aspettato di vedere un vasto e documentato apparato sull’arte derivata dalle opere di Tolkien.

L’impressione che ne ho tratto dunque è di incompiutezza, di un “cenotafio” dove si esaltano sì l’uomo, il professore e l’autore, con anche delle “reliquie” laiche sulla sua vita senza però approfondire ciò che nel campo della letteratura fantastica e dell’arte lo abbia influenzato e “risvegliato”. Memorabilia e oggetti che possono al più interessare l’appassionato studioso del tema, ma molto meno tanto chi già sa e ha già letto e visto quanto chi si accontenta di qualcosa che alla fine resta “nazionalpopolare” evitando approfondimenti e ampliamenti d’orizzonte.

Dal mio punto di vista quindi questa mostra su Tolkien, “l’uomo”, è quindi un’occasione sprecata, laddove si sarebbero potuti far vedere – seppur con costi indubbiamente superiori al poco che ha impegnato l’esposizione – opere magnifiche e assolute, prodotte in tutti questi anni dai grandi artisti e illustratori di tutto il mondo anche se soprattutto inglesi e americani, mentre l’offerta è quella – seppur in sé pregevole – di bozzetti eseguiti da alcuni tra i più grandi e noti artisti tolkieniani e non solo, giacché, anche questo va detto, non esistono casi di “monotematicità” nell’illustrazione.

Avremmo volentieri visto le interpretazioni degli Hobbit date da Oscar Chichoni, degli Orchi e di Gollum disegnati da Frank Frazetta e anche le italiche tavole di Luca Michelucci... insomma nel campo dell’arte applicata al linguista oxoniense si sarebbe potuto fare di più e di meglio, se poi si pensa che è stata un’ulteriore occasione perduta per far conoscere, ad esempio, le alte e nobili origini dell’immaginario tolkeniano dello stesso scrittore, che affondano della cultura ribelle del medievalismo inglese di metà Ottocento. Nessun accenno ai Preraffaelliti, nessuno ai Simbolisti... quindi la mostra resta “orizzontale” e collezionistica.

La mia amica poi, con sagge parole e ragioni, mi ha fatto notare che così come si sarebbe potuto ampliare lo spettro alle arti visive e figurative, altrettanto si sarebbe potuto fare nel campo della musica. Infatti la “musica”, il canto e dunque l’incanto al quale tanta giusta importanza dà Tolkien nei suoi testi, è stato qui completamente dimenticato riducendolo a pochi esempi legati alla colonna sonora dei film della trilogia di Peter Jackson.

Una mostra che sarebbe potuta essere un grande albero, una quercia millenaria dalle profonde radici e dalle innumerevoli foglie che di conseguenza avrebbe dato frutti in futuro, è offerta a mio parere come una betulla esile nel vento gelido d’un mondo che le passa accanto senza potervi trovare riparo durante una bufera.

La sensazione che ne ho ricavato è di una mostra voluta da collezionisti – interessanti le raffigurazioni scultoree dell’Autore – ma che lascia, almeno a me che sono vecchio e stanco, la sensazione del déjà vu, di una certa “frettolosità”, come se fosse stata fatta in troppo poco tempo quando ce ne sarebbe voluto di più, senza esser riuscito a comprendere la “linea espositiva” né il criterio con il quale sono state collocate le opere artistiche. Peccato, e pensare che soltanto dal disegno splendido di Stephen Hickman una persona con le adeguate conoscenze storico artistiche avrebbe potuto facilmente dimostrare il suo legame con la più alta e nobile tradizione pittorica del Rinascimento… un’occasione sprecata, come si diceva.

In questa mostra sono spettrali il senso dell’avventura e la parola “Tradizione”, forse sempre per restare in democratico equilibrio finendo per rimbalzare come la pallina d’acciaio del flipper che dà la cifra esatta di tutto nell’ultima sala dell’esposizione, con la voce del bravissimo Pino Insegno.

Comunque, “cosa fatta capo ha”, quindi mi chiedo quanto ancora dovremo aspettare in questo nostro Paese per vedere una vera, effettiva ed efficace rinascita culturale del Fantastico, quindi del Fantasy in tutti i suoi generi, libera definitivamente dalle pastoie politiche, ideologiche e forse dalle peggiori di tutti, quelle di consorteria. Lo si potrebbe fare anche facilmente utilizzando le immense conoscenze che abbiamo in dotazione da decenni in ogni campo dello scibile: letterario, artistico, scientifico e comunicativo. Basterebbe ricordare che nella terra che ha dato i natali ad Apuleio e ad Ariosto risiede quel senso del meraviglioso che conduce a varcare le porte dei mondi, attraverso una pluralità di autori e di artisti e non mediante la riduzione monotematica a un autore, seppur così importante qual è J.R.R. Tolkien, a mezzo secolo dalla sua scomparsa terrena.

Usciamo infine all’aria fredda e ventosa – dopo aver scoperto che l’opera “Paesaggio interiore” di Julius Evola non è più esposta – lasciandoci dietro una delusione per l’assenza di fascinazione e d’incanto che avremmo potuto trovare in una mostra che sarebbe dovuta essere magica e corrusca e non soltanto istituzionale e “politicamente corretta”, quasi conformista, lontana da un mondo di epiche meraviglie, di eroi e di dame lucenti e troppo vicina a questo nostro che ha perso ogni collegamento con il Principio.

La mostra, a Roma sino all’11 febbraio alla Gnam, andrà poi itinerante in altre parti d’Italia.

Aggiornato il 04 dicembre 2023 alle ore 14:03