Laureati a perdere per un Recovery a costo zero

Chi si laurea è perduto! Perduto per la sua famiglia, che ha investito risorse e risparmio privati soltanto per prolungare di almeno un altro decennio l’agonia della disoccupazione e del calvario dei “lavoretti”, che caratterizzano oggi la vita post-laurea dei propri congiunti. Perduto per il Paese che, quando va bene, è vittima di quel processo globalista denominato “estrazione di valore”, per cui se il neo-laureato è appetibile sui mercati internazionali del lavoro qualificato diviene un “cervello in fuga”, con il bel risultato che l’azienda o l’istituzione estera che l’assume fa risparmiare al proprio Paese le spese per la formazione universitaria e post-dottorato del suddetto laureato. Costi che, normalmente, si aggirano nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro pro-capite! Verrebbe da dire, nel caso italiano che “chi è causa del suo mal pianga se stesso!”. C’è da chiedersi infatti “perché” il capitale umano sia così bistrattato dalle nostre parti, soprattutto per quando riguarda la sua mancata valorizzazione nel campo del pubblico impiego. La questione si può articolare in due ragionamenti paralleli.

Il primo, molto più generale, riguarda la formazione universitaria in senso stretto. Qui da noi la diga invalicabile del valore legale della laurea ha comportato due effetti particolarmente destabilizzanti. Il primo deriva da obblighi curriculari comuni a tutte le Università degli studi, che abbiano attivato facoltà previste e ordinate in base a regolamenti vigenti a livello nazionale. Questo vuol dire che lo studente laureato in una facoltà dell’eccellenza sarà perfettamente equiparato, per pari titolo e voto finale di laurea, a un suo collega proveniente da una Università minore o privata equiparata, assai meno accurata e severa nell’accertamento del merito e delle competenze reali. La selezione vera, quindi, sulle conoscenze professionali effettive e sull’attitudine relativa a metterle in pratica spetterà ai futuri datori di lavoro, se mai ce ne saranno! Del resto, un laureato somaro con alle spalle una famiglia influente ha già per nascita l’ascensore sociale che gli serve! Questo aspetto genera una sorta di neo-rivoluzione silenziosa per ceto e per censo, separando drasticamente le famiglie ad alto reddito dal resto della platea dei contribuenti, dato che le prime possono investire importanti risorse finanziarie per sostenere costosi studi all’estero dei propri figli, o permettere loro la frequenza in altre Università italiane private di pari livello e con rette annuali molto superiori a quelle di analoghe istituzioni pubbliche universitarie.

Questo declassamento del pubblico ha cause profonde nella scelta del corpo docente, che avviene per cooptazione sostanziale, in cui il concorso pubblico è solo di facciata in quanto le commissioni d’esame sono di fatto monopolizzate dalle corporazioni interne, che si spartiscono gli incarichi in modo clientelare tenendo conto di una sorta di manuale Cencelli tra le facoltà interessate. Atteggiamento anti-meritocratico quest’ultimo che comporta penose vie Crucis e interminabili periodi di precariato, da parte di ricercatori e assistenti universitari a contratto. Ne deriva, da questo deprimente quadro della formazione superiore, la suddivisione ufficiosa (da parte delle famiglie, delle imprese e degli studenti stessi) delle sedi universitarie come si farebbe con il campionato di calcio, organizzato per serie di maggiore o minore importanza.

La folle scelta dell’autonomia universitaria, da un lato, e la suddivisone delle lauree in brevi e specialistiche dall’altro, ha provocato la proliferazione di facoltà e di corsi del tutto o fortemente scollegati dalle effettive esigenze del mercato del lavoro, nazionale e internazionale, dando per di più luogo a un’inaccettabile frammentazione degli insegnamenti, con relative ridondanze, discontinuità e mancanza di unitarietà logica tali da rendere problematico l’effettivo apprendimento delle discipline relative. Per di più, poiché né gli studenti né le loro famiglie sono in grado di orientare le scelte degli studi sulla base dell’offerta presente sui mercati qualificati del lavoro, la maggior parte dei laureati sono costretti ad auto-orientarsi verso la ricerca di posti pubblici, sempre più scarsi e di difficile accesso per i noti meccanismi clientelari che li contraddistinguono.

Il secondo aspetto riguarda le moltissime lauree in campo umanistico, della comunicazione o del benessere psico-fisico della persona, che non risultano per nulla “esportabili”, in quanto i laureati interessati non sono né bilingue, né parlano fluentemente una o più lingue straniere in modo da consentire l’acquisizione nelle loro specialità di un analogo, ricco vocabolario linguistico e tecnico, che li renda in grado di praticare all’estero la professione prescelta e di iscriversi ai relativi albi professionali anche in altri Paesi europei o extraeuropei. Cosa che, ad esempio, non accade per le facoltà tecniche internazionalmente più richieste, dato che molti dei corsi di insegnamento relativi sono già impartiti qui da noi direttamente in inglese, proprio per “internazionalizzare” il valore della laurea relativa.

Volendo seriamente incidere in positivo, al fine di rimediare a questo disastro politico-sociologico, non resta che implementare la forza di selezione propria del libero mercato, creando ad esempio un Fondo nazionale per la formazione superiore che eroghi crediti agevolati (preferibilmente, a un tasso non superiore al 0,5 per cento e da restituire tramite una extra tassazione dei redditi futuri, anche percepiti per eventuali incarichi all’estero) ai giovani che desiderino formarsi nelle più prestigiose università italiane o estere.

I percettori delle risorse del Fondo vanno poi autorizzati a remunerare con i prestiti ricevuti lezioni e assistenza universitaria di supporto alle esercitazioni pratiche e agli esami, scegliendo i docenti di propria fiducia all’interno di una lista di professori abilitati, italiani e stranieri. Un metodo perfetto, come si vede, per selezionare i migliori in base allo spirito di sacrificio e alle reali capacità di trasmettere il sapere, da parte dei docenti! In fondo, il vero Recovery che vale il doppio di quello dell’Europa è fare riforme incisive a costo zero! Ma non per la politica italiana, s’intende.

Aggiornato il 28 maggio 2021 alle ore 09:45