La scuola non è dentro un computer

Lo sapete come vedo l’innovazione della scuola e della didattica?

Ovviamente, mi riferisco a quando sarà finita questa guerra. La vedo così: dovremmo gettare via i tablet, i pc, gli smartphone e tutti gli strumenti tecnologici alienanti, che ci stanno assorbendo tutto il giorno e in tutti i modi possibili, dovremmo liberarci davvero da questa pandemia tecnocratica, disintossicarci, ritrovare i rapporti umani diretti, riassaporare il gusto della parola sussurrata nel cuore e non filtrata da una distanza fisica che allontana le menti dal calore umano, riscoprire la vicinanza dei corpi e dei gesti, porgere un fazzoletto allo studente che si è commosso, riprendere contatto con la vita vera, con gli abbracci veri, con le persone in carne ed ossa. Altro che questa isteria collettiva degli strumenti che rappresentano una distrazione didattica perché spostano i mezzi rendendoli il fine. Non voglio demonizzare la tecnologia, per carità, anzi, si tratta di darle il giusto ruolo nel processo formativo. Invece, oggi, la stiamo subendo.

Personalmente, l’innovazione della scuola la vedo nel potenziamento delle relazioni vere e non virtuali, nella pratica dei metodi e degli approcci culturali e pedagogici per l’apprendimento, nella vicinanza degli animi umani, nell’interazione reale e non in quella eterea della rete. Qui si confondono sempre di più gli strumenti (computer, macchine, dispositivi elettronici) con i fini e gli scopi educativi, formativi e culturali della scuola.

Insomma, invece, di costringere i ragazzi a stare chiusi dentro casa, davanti a un monitor, con la relazione alienante prodotta da un accessorio inanimato e digitale, che resta uno strumento o un mezzo e che, quindi, come tale va considerato, la vera rivoluzione scolastica sarebbe quella di portare i ragazzi a fare lezione fuori, all’aria aperta, in campagna, su un prato, sotto gli alberi, vicino al profumo della resina, con gli occhi a guardare il cielo, ad ascoltare il canto degli uccelli, a fare lezione sulla spiaggia, in riva al mare, passeggiando a piedi nudi sulla sabbia e parlando, dialogando, conversando sugli argomenti da trattare e da affrontare... magari respirando il vento che proviene dalle onde, l’aria di montagna, l’odore di una pineta.

Al posto di questa tecnocrazia dominante, oggi, e comunque alla fine della guerra in corso, farò lezione portando i ragazzi all’aria aperta, per sentire con il palmo della mano la corteccia di un albero, per cogliere e assaggiare una fragola selvatica, una mora, un lampone, un frutto di bosco, per fare lezione in riva al mare, per camminare lungo un sentiero di montagna, per discutere e approfondire l’arte, la poesia, la letteratura, la storia, la matematica, le scienze, la chimica, ecc. accarezzando un filo d’erba e non il tasto di un mouse o lo schermo di uno strumento digitale.

Aggiornato il 17 marzo 2020 alle ore 13:58