Alberi o grattaceli? Chi dei due vincerà nella sfida alla Felicità? Una risposta salomonica prova a darla il film “Dopo il matrimonio”, diretto da Bart Freundlich, con: Michelle Williams (Isabel); Julianne Moore (Theresa); Billy Crudup (Oscar); Abby Quinn (Grace), in uscita in data da destinarsi nelle sale italiane. Una fune tesa tra la cuspide di un baobab e un grattacelo, per creare una storia di estremi che si toccano. Un simbolo, un film. Un grande albero sdraiato come un pachiderma arenato con le sue enorme radici sguainate, indifese, quasi un cantico di sepoltura di ciò che una volta svettava in alto come gigante nel bosco, e che ora guarda mesto il verde rigoglioso che gli sopravvive. Un nido di uccello caduto dal ramo di quel tronco possente, difeso da una corteccia inutile e inerte, che mostra le piccole uova schiuse e i resti colorati dei gusci, per cui nulla si può più riparare riunendo assieme ciò che è volato via! Un film profondo, sconvolgente sul significato di “esistere”.

Storia di un diaframma esilissimo che separa in modo precario e transeunte Vita e Morte; Miseria e Ricchezza; India e New York. Storia di un materno rifiutato e rimpianto, di una penitenza senza fine in fuga dai disumani, immensi boschi verticali di vetro e cemento della megalopoli americana che tutto corrompe e dissolve, perché svuotata dei principi fondamentali dell’Etica e della Morale dissacrate da un’umanità in dissolvenza, prigioniera della Grande Giostra che non si ferma mai. Storia di due donne, splendide ognuna a modo suo, meravigliose e inquietanti, percorse da fremiti sconvolgenti per un’identica causa in cui il materno biologico deve confrontarsi al suo duale che riempie e non svuota, accoglie e non abbandona. Per un amore che non finisce mai, che osa persino progettare la sua continuità in affido, perché la Morte non sia di ostacolo alla vita. Un pensiero che osa al di là del volo dell’aquila e dello sparviero.

Isabel che ritrova sua figlia al momento in cui si sposa, dopo essere fuggita in India ad allevare bambini abbandonati, vivacissimi e pieni di gioia di vivere, e da lei raccolti ai margini delle strade di una Calcutta dei miserabili. Città tanto amata da quel Tiziano Terzani che seppe ritrovare tra i più poveri e indigenti del mondo la chiave perduta dall’Occidente sul significato del vivere. Isabel, costretta a partire per l’orrida New York, dovendo corrispondere alla promessa di una grande donazione, lasciando così quei suoi paesaggi verdi dove come un fiore di loto si distende sul laghetto la sua casa di ricovero per l’infanzia abbandonata, che le Ong caritatevoli provano a nutrire e curare con le briciole che cadono rade e scarse da quell’immensa tavola imbandita dei grandi profitti finanziari dell’Occidente. Quei poveri sacchi ammassati sui cassoni di sgangherati camion indiani che vengono presi d’assalto da ragazzini festanti, macchie di colore e di energia vitale in un paesaggio urbano arcobaleno dagli intensi, penetranti profumi di spezie. Per quei piccoli, gioco e meditazione, indumenti dismessi e riadattati danno il senso appagante della vita una volta garantita la sussistenza alimentare, in stridente contrasto con i gemelli loro coetanei della manager newyorkese di grande successo, Theresa, l’Alter Ego di Isabel. I suoi bambini vivono in una casa per grandi ricchi, giocano con l’i-pad, vanno in scuole di lusso e hanno tate premurose a loro disposizione.

Ma, ancora una volta: quali sono le coordinate della Felicità? L’arte appagante dello scultore Oscar, marito di Theresa e padre di Grace e grande amore dell’allora diciottenne Isabel? Dove sta il Senso della Vita? Nell’abbandonare e poi nel ritrovare? Nel materno che accudisce e ama ogni giorno i propri figli, anche e soprattutto quella adottiva, o nel biologico che sente fortissimo il richiamo ancestrale della sua proprietà, ceduta e sottratta allo stesso tempo? Ha ragione nell’inganno a fin di bene il paterno risvegliato e pentito, o il diritto a conoscere i recessi di quel pentimento sul filo del rasoio, prima che qualcuno si intestasse un patrimonio biologico appena sbocciato? Tra le due, chi è più umana? Theresa o Isabel? Il ricatto o la pietas? Sicuramente Grace, il soggetto del desiderio, l’oggetto della sfida tra due accezioni del materno. È lei a conquistare il campo con la sua sofferenza scissa, la pena estrema per l’una, madre amatissima, e il perdono per l’altra, prigioniera dell’utopia hippie della fuga dal mostro della modernità che non arriva mai a cancellare il ricordo da cui si fugge.

Aggiornato il 27 febbraio 2020 alle ore 12:08