In odio a Barbareschi? Dies irae per l’Eliseo?

Morire a cent’anni. Tanti quanti ne ha l’Eliseo post 1918. E dire che all’inizio fu solo lobbying parlamentare per l’assegnazione di un contributo dedicato, che permise l’avvio qualche anno fa di quella sua seconda vita, quando Luca Barbareschi ne acquistò la proprietà e lo ristrutturò, con l’ambizione di farne un cuore pulsante della cultura capitolina e nazionale. Ma, ovvio che un’impresa del genere, malgrado i successi di pubblico e le alzate qualificate di sipario (scegliendo, quindi, testi autoriali internazionalmente riconosciuti e buone compagnie rappresentate da capocomici di importanza nazionale e internazionale), non è in grado di auto sostentarsi e autofinanziarsi a causa dei sempre più elevati costi di gestione e di spese per il personale, mai compensabili di fatto con i ricavi di botteghino! Tutto ciò lo scorso 12 febbraio è stato attentamente documentato con un’appassionata (e a tratti rovente) autodifesa alla Ottaviano Augusto da parte di Barbareschi, che ha inteso così giustificare pubblicamente le proprie condotte. Veemente, secondo il suo carattere, è stata quindi la sua denuncia del presunto “complotto”, quest’ultimo particolarmente rancoroso e aggressivo, con cui un ipotetico Bruto istituzionale (e non) ha inteso provocare la chiusura (e quindi la morte) del nuovo Teatro Eliseo.

In tutto questo è venuto a mancare il contraddittorio, dato che non erano presenti né istanze e rappresentanti della politica e delle istituzioni, né tantomeno le associazioni di artisti, alcune di queste ultime in aperta polemica con la gestione di Barbareschi e con la sua attività di lobbying. In buona sostanza, con l’espressione del parere negativo ministeriale, la competente commissione parlamentare ha deciso di non approvare nei giorni scorsi l’emendamento per un finanziamento triennale di 12 milioni di euro a favore dell’Eliseo, rinviando ogni ulteriore iniziativa (grazie alla spada di Damocle degli inevitabili, susseguenti licenziamenti di tutto il personale oggi in servizio presso il teatro stesso) alla convocazione di un “tavolo tecnico”, si suppone interministeriale. E qui, ricordando il detto che “se non vuoi fare nulla di concreto istituisci un comitato o un tavolo di concertazione”, Barbareschi ha avuto buon gioco a parlare di un porto delle nebbie, inutile quanto inconcludente.

Ancora una volta, come si vede, il processo e il procedimento pubblico incriminati sono quelli relativi alle modalità di ripartizione dei fondi per lo spettacolo, la cui assegnazione capitaria è governata da algoritmi assurdi di difficilissima comprensione e funzionamento oggettivo. Ecco perché, in fondo, il lobbismo è un fatto per alcuni versi necessitato. È chiaro però che si tratta di un modus operandi che privilegia chi nel mondo della politica e delle commissioni parlamentari sa muoversi meglio di altri. Non solo: tutte le attività connesse (la Procura oggi indaga in proposito Barbareschi per traffico di influenze) sono ad alto rischio di fraintendimento. Nel suo fervente “J’accuse” il direttore artistico dell’Eliseo ha rivelato di essere a conoscenza e di poter dimostrare cose in grado di “far venire giù” il mondo politico italiano. Ma un attore istrione come lui sa sempre quando e dove fermarsi. Quindi: a buon intenditor. Però, non essendo io un semplice cronista, bensì un analista per costituzione e carattere, mi chiedo: ma perché dovrebbe continuare a funzionare così? Vedo allora due strade praticabili congiuntamente. La prima, è quella dell’istituzione di un contenitore di finanziamento pubblico ad hoc, sulla falsariga del cinque e dell’otto per mille, in cui sia il cittadino contribuente a fissare il sostegno finanziario complessivo da garantire annualmente alla cultura e all’arte da vivo.

Una volta stabilito il quantum a consuntivo, occorre poi istituire un Organismo esterno (composto a rotazione e per sorteggio da esperti e rappresentanti degli artisti) che ponga in essere un regolamento indipendente per l’individuazione di un meccanismo filtrante meritocratico, completamente esterno e blindato da nomine politiche e dalle influenze partitiche di qualsiasi segno e tenore. La seconda via da attivare contestualmente, per quanto riguarda l’arte dal vivo, è la ripresa televisiva dedicata (da effettuarsi durante le repliche degli spettacoli e rigorosamente riservata agli uffici stampa delle testate nazionali riconosciute) degli spettacoli teatrali, in base al regolamento ad hoc adottato dall’organismo indipendente descritto in precedenza. Come accade nelle fiction, gli spettacoli teatrali registrati debbono essere ricompresi in un palinsesto ad hoc della tivù pubblica, distinti e organizzati per la messa in onda in prima e seconda serata. Se vogliamo fare i seri, questa a me sembra una proposta decente.

Aggiornato il 17 febbraio 2020 alle ore 13:33