1917”, il film di Sam Mendes vincitore di tre statuette, per i migliori effetti visivi, per il miglior sonoro e per la miglior fotografia (a Roger Deakings), dalla fine di gennaio nelle sale italiane, è uno straordinario momento cinematografico, di notevole valore estetico e destinato ad essere annoverato, con “All’Ovest niente di nuovo” (1930) di Lewis Milestone, “Orizzonti di gloria” (1957) di Stanley Kubrick, “La Grande guerra” di Mario Monicelli, “Anni spezzati” (1981) di Peter Weir, “War horse” (2011) di Steven Spielberg, tra i film più significativi ambientati nel contesto della Prima guerra mondiale.

A rendere ancor più interessante il film, sono le parole del regista, Sam Mendes, sull’origine dell’intera vicenda. Ecco il racconto personale dello stesso Mendes, in occasione della prima londinese del film e nel corso di altre interviste da lui rilasciate in riferimento al nonno Alfred: “Mio nonno ha combattuto dal 1916 al 1918. Era molto giovane. Era un uomo piccolo: gli affidavano dei messaggi perché correva veloce e la nebbia era molto alta. Quindi non era visibile. Per anni non raccontò la sua storia. Alla fine la confidò ai nipoti. Ed era una storia molto commovente. All’epoca avevo circa undici anni. È da quel giorno che ci penso. La sua storia riguardava la consegna di un messaggio. Il film punta a quel ricordo, anche se non parla di mio nonno, eppure, lo riguarda”.

Nel film, 1600 soldati sono in pericolo di vita: occorre fermare l’ordine di attaccare le linee nemiche tedesche e l’unico modo per far giungere la notizia al colonnello del battaglione Devon è la consegna a mano del contrordine, per il tramite di due soldati, che devono lasciare la loro trincea per oltrepassare quella tedesca, percorrere a piedi chilometri e chilometri di abbandonate lande desolate, devastate dalla guerra, tra macerie, topi e corpi in putrefazione, fino a raggiungere un ponte, interrotto dai tedeschi ma ancora, però, sotto il tiro di un loro cecchino, lasciato a custodia del ponte. Lo scenario prosegue con la suspense di un thriller, surreale ed a tratti quasi onirico, come nell’incontro della mamma con il bambino, che allenta la tensione ed allieta l’animo, in contrasto con tanta disperazione, paura ed orrore. La vicenda, vissuta dai due giovani caporali inglesi dell’ottavo battaglione è, ovviamente, ambientata nel 1917, anno cruciale della Prima Guerra mondiale, con la Russia sconvolta dalla rivoluzione bolscevica che stipula la pace con la Germania e l’entrata in guerra degli Usa, a segnare, in contrappunto, che nei grandi eventi storici che cambiano il mondo, si muovono, ignorati, umili protagonisti in carne ed ossa, capaci di autentici atti d’eroismo.

I protagonisti del film sono George MacKay (Schofield) e Dean-Charles Chapman (Blake), in un cast formato da Mark Strong, Andrew Scott, Richard Madden, Colin Firth e Benedict Cumberbatch.

Poche e crude parole del generale Enimore (Colin Firth) danno il via all’avventura di Blake e Schofield: “Generale Enimore (Colin Firth): tu hai un fratello nel secondo battaglione!

Soldato Blake: Sì Signore!

Generale Enimore: Stanno per finire in una trappola, l’ordine è consegnare un messaggio, perché fermino l’attacco di domani mattina. Se fallite… sarà un massacro! Se non arrivate lì in tempo, perderemo 1600 uomini…tra cui tuo fratello! Buona fortuna!”.

E subito inizia il viaggio di Blake e Schofield, in una corsa contro il tempo e contro i tedeschi, che potrebbe ricordare “Salvate il soldato Ryan” di Spielberg. Ma, se nel film di Spielberg la missione è quella di trarre in salvo un uomo, nel film di Mendes i due protagonisti sono sospinti avanti unicamente dal pensiero di salvarne 1600. E l’incerto avanzare dei due soldati inglesi è magistralmente descritto, senza apparenti stacchi, come in un unico piano-sequenza, concentrando un percorso di 24 ore in due ore di spettacolo. Un film da non perdere sul grande schermo.

Aggiornato il 11 febbraio 2020 alle ore 10:03