Il materno? Un nodo scorsoio. Una trappola. Una bottiglia senza fondo. “La mia vita con Donovan” di Xavier Dolan (in uscita nelle sale il 27 giugno) descrive la madre come un immenso amore tra le cui braccia passare simbolicamente l’ultimo giorno della propria vita, scherzando ormai trentenne in una vasca piena di schiuma, con un fratello grande strafottente e amatissimo, mentre giochi a fare lo spelling con lei tornando bambino, per scandire parole difficilissime di cui non ti sfugge il senso. E quell’Altro da te, Rupert Turner alunno delle elementari, distante mille miglia dalla tua America di lusso e sregolatezza, che vive in una Londra piovigginosa dove sua madre lo ha trascinato per inseguire un marito che li aveva abbandonati, lasciando quella meravigliosa, gigantesca, caotica e pericolosa New York, sempre inquadrata dall’alto con le sue gigantesche vene scure d’asfalto dove la vita scorre sempre eccessivamente veloce, e nella quale tu vivi le esaltazioni e le cupe depressioni di un attore televisivo di grande successo. E come ti intendi tu con quel geniale e acerbo talento artistico, aspirante attore e scrittore, alunno della scuola primaria? Che cosa vorranno mai dire quei cinque anni (dai sei agli undici di Rupert) di rapporto epistolare tenuto segreto alla propria madre, attrice fallita e donna frustrata capace di illimitate aperture e altrettante feroci chiusure?

Che cosa ricorda al lettore quel fantasmatico cordone ombelicale lungo migliaia e migliaia di miglia, fatto di aria e di parole come un dirigibile sospeso tra presente e futuro, all’inseguimento di una scia di inchiostro verde che dà colore a una calligrafia riflessiva, confessionale e regolare, stesa silenziosamente nel retro di una cucina male in arnese di un piccolo ristorante newyorkese? Tutto sarà chiarito a una bella e intelligente intervistatrice “colored” dal ragazzino divenuto autore di successo per aver trasposto nel suo libro-verità tutta la sua corrispondenza privata con Donovan. Sarà proprio lei a dare il ritmo, pur mostrandosi infastidita in apertura della storia, credendo di dover intervistare uno pseudo talento creato dal nulla da media compiacenti: un giovane Autore di cui peraltro lei non ha letto il libro oggetto dell’incontro. Ma quando il tamburo delle emozioni si fa sempre più assillante e aumenta le sue frequenze, si assiste al progredire di toni sempre più impressionisti del chiaroscuro della vita dei personaggi coinvolti, raccontati dal vivo, folgorati da istanti di emozione intensa e travolgente che narra delle passioni perdute, ritrovate e ancora perdute.

Volti maschili che hanno i volumi appassionati dei primi piani in cui il movimento del labiale è il genio della lampada, che dà luce a un cammino tormentato, allucinato da una diversità prorompente e prepotente, abortita nella fase gestatoria dall’imperio della conservazione a tutti i costi del mitico sex symbol rigorosamente etero, con moglie e mille amanti finte, mentre nel backstage le chat si saturano di commenti piccanti e urticanti sulle vere passioni e sui gusti omosessuali di Donovan. Questo fluire di passioni sommerse, respinte sotto la superficie perbenista e conformista dei serial show (con protagoniste donne e magia) e delle occasioni mondane affollate di adoranti e deliranti volti di ragazze giovani, contaminano il piccolo Rubert Turner in una sequenza straordinaria di transfert e controtransfert con un avvicendamento di ruoli, in cui la differenza d’età dei due confidenti li rende l’uno alternativamente terapeuta dell’altro. Anche se Donovan arriverà a negare alla televisione americana di avere mai scritto per anni al piccolo Rupert nel timore di uno scandalo internazionale, una volta che casualmente i popular media si saranno appropriati della verità. Quando si spezzerà il cordone ombelicale tra Donovan e Rupert la metempsicosi maturerà tutti i suoi effetti: grazie al sacrificio di Donovan, Rupert difenderà e vivrà fino in fondo la sua storia di “diverso”, diradando su di sé quelle nebbie che avevano bloccato il timone esistenziale di Donovan, spiaggiato come una balena senza più orientamento nella “no-man’s-land” del rifiuto della propria identità.

Aggiornato il 20 giugno 2019 alle ore 12:08