Otto donne e un mistero

Una donna è un... mistero! Ecco cosa accade quando le donne sono... otto? Semplice: la componente dell’incerto e dell’imprevisto si eleva a potenza con un esponente indeterminato! Provare per credere. Robert Thomas, con la sua commedia Otto donne e un mistero, in scena al Teatro Quirino fino al 14 aprile, per la regia di Guglielmo Ferro, dà una prova magistrale delle illimitate apparenze del caleidoscopio dei caratteri, in cui la radiazione luminosa cambia all’improvviso la sua lunghezza d’onda. Metafora che si sposa alla perfezione con l’idea che la donna rappresenti l’azzurro del cielo mentre il maschile ha i colori bruni della terra riarsa dal sole. Lui ha la solidità della pietra; lei, ali di farfalla. Il primo costruisce case; l’altra, mette le ali al fuoco. Ma che cosa accade quando loro sono in otto e lui è da solo? Per esempio, che venga accoltellato. E chi sarà mai la colpevole (visto che lui non si può essere suicidato, essendo impedito dall’anatomia di piantarsi un pugnale nella schiena) tra suocera, moglie, cognata, figlie, sorella, domestica e governante? Possibile che in quel quadretto perfetto si insinui la serpe velenosa dell’omicida? E se fosse un espediente per costruire una voce narrante dall’esterno che registri tutto ciò che avviene in quella villa isolata, per poi riportare il tutto all’autore?

Muovendosi all’interno di una scenografia intelligente che riproduce la sezione a due piani degli ambienti di una villa signorile, disegnati con boiserie color mogano (grande salotto, cucina, stanza matrimoniale perennemente chiusa dove giace il corpo del padrone di casa, camera degli ospiti con ampia toilette per la cura della vanità femminile), le otto donne si industriano da chirurghe esperte a estrarre, in ordine sparso, la parte più viscerale delle sue prossime vicine, parente stretto o personale di servizio. Così, in una smarginatura progressiva dei contorni e dei ruoli muliebri, emergono tradimenti, collusioni, biechi interessi, sete di denaro, amanti nascosti e addirittura parti incestuose e uxoricidi ritenuti una “necessità” da chi li ha commessi con palese complicità dei più prossimi congiunti che avrebbero ben potuto denunciare e pretendere giustizia, visto che qualche figlia sarebbe rimasta senza padre per il resto della sua vita. Maturità e adolescenza sono unite nello stesso paradosso che implica la perdita dell’innocenza a qualunque età, come se la virtus al femminile sia soltanto una perenne illusione del romanticismo ottocentesco. Il femmineo, quindi, più simile al carattere di un’arpia o di una Medusa dallo sguardo (interiore) che uccide.

Tra spari improvvisi, chiavi scambiate, cancelli che cigolano sinistramente malgrado siano bloccati da una copiosa neve di Natale, fili tagliati del telefono che non consentono a nessuna delle otto donne di allontanarsi per chiedere aiuto e denunciare il fattaccio alla polizia, la matassa incrociata degli intrighi si dipana con calcolata lentezza. Ogni nodo che si scioglie è come una lingua di fuoco che va a lambire le vesti della finta vestale più prossima e, come i moccoli di un candelabro, una a una le varie dee del focolare finiscono nel loro inferno di ipocrisie, infingimenti e menzogne. E come un calcio a otto giocatori la sfera di cristallo in cui si riflette il volto del presunto assassino cambia di continuo la sua immagine, senza mai emettere per noi una sentenza definitiva perché una prova appena acquisita è immediatamente sminuita da un’altra rivelazione ancora più estraniante. Ed è proprio questo flusso incessante di eventi che si sovrappongono a sorpresa, accompagnati e descritti nei gesti e nelle voci concitate da una recitazione corale delle otto brave attrici professioniste, a fare della commedia senza lieto fine una trappola dell’attenzione in cui la suspense è solo un ingrediente ma non la sostanza della morale. Che dice: l’uomo è sempre vittima del mucchio selvaggio delle donne della sua vita!

Aggiornato il 05 aprile 2019 alle ore 17:26