De André e Pasolini: l’affresco di Marcorè

Quante cose non ho? Se parliamo al plurale collettivo (intendendo con ciò l’Occidente consumista, arido e maledetto), allora “le cose che non ho” costituiscono l’intero mio essere denegato, ovvero diseredato di senso etico, affettivo e di sostanza. Così testimonia l’omonimo recital musicale (“Quello che non ho”) che Neri Marcorè, travestito da Fabrizio De André, ci propone al Teatro Quirino fino al 5 marzo. L’animo della composizione è gemellato, come le lune di certi pianeti lontani, con due numi tutelari della protesta e del “j’accuse” poetico-politico, Pier Paolo Pasolini e Fabrizio, fusi tra di loro per spina dorsale e nuca: un solo tronco a due profili e una testa bifronte che mastica sale e sputa vento. Tutto il condimento amaro della Terra dei Fuochi, delle immense penisole di plastica indigeribile flottanti al largo dei Poli, spazzatura gigante che l’industria moderna ha voluto regalare agli oceani, sterminando qualunque forma di vita subacquea lungo coste siciliane, ad esempio, una volta incontaminate e bellissime, dove oggi i neonati nascono senza orecchi a causa dell’inquinamento mostruoso da metalli pesanti, causati da impianti chimici a pochi passi dal mare!

Testimoniare, poi, che i “Gitani” non sono semplicemente zingari, ma genti che vengono da lontano, con decine di etnie specializzate nelle diverse fabbricerie, dagli stagnatori e ramatori, ai sellari e ai pastori. Poi, spazio alla “Corda Pazza” come a quella “Civile” di un Pasolini veggente che con i suoi scritti corsari ha visto il Golgota e il “Crucifige” delle società occidentali, in cui il politico non conta più nulla (e, questo, lo osservava già all’inizio dei gloriosi anni Sessanta), distrutto, triturato in mille minuti segmenti a beneficio del “particulare” senza un fine ideologico che non sia bulimico di potere e denaro; senza una spinta a lungo respiro verso un progetto evoluto di società. Annientata la coscienza civile dalla bulimia delle cose, dei beni superflui, il cui compito è di riempire le vite degli uomini, togliendo loro il piacere puro della relazione. La televisione è il male sottile dell’Era moderna per il cui tramite il soggetto si “cosifica”, diviene semplice oggetto bersaglio della pubblicità, pezzo elementare di una macchina mostruosa che con i suoi ingranaggi fa girare l’economia e l’industria mondiale dei beni superflui.

Ed è così che per estrarre le materie prime necessarie a sostenere la produzione di miliardi di telefoni cellulari, le bellissime foreste del Congo sono state devastate dalle miniere a cielo aperto per l’estrazione del coltan (combinazione dei metalli colombite e tantalite), una sorta di sabbia nera velenosa - radioattiva, tra l’altro, a causa della percentuale di uranio presente - che serve a ottimizzare il consumo di corrente elettrica nei componenti di tutte le più avanzate tecnologie digitali. Per il controllo del coltan si sono scatenati veri e propri conflitti tribali che hanno prodotto qualcosa come 4 milioni di vittime! Per non parlare, poi, della scandalosa condizione esistenziale dei giovani e giovanissimi minatori congolesi improvvisati che, senza alcuna protezione, raccolgono le pietre in cunicoli profondi e spaccano il minerale a mani nude! La prossima vittima del coltan sarà l’Amazzonia, dove sono stati scoperti nuovi giacimenti che, di sicuro, produrranno morte e distruzione per gli indios locali!

Marcorè, ripercorrendo l’opera artistica di De André nei suoi temi essenziali, ne ricorda l’impegno civile, oltre che poetico, attraverso le sue canzoni, più e meno note. “Don Raffaè” è una di queste. Dedicata al boss Raffaele Cutolo, l’ultimo gran capo di camorra che seppe riunire sotto di sé i vari clan, dettando a essi la sua legge. Lui che da prigioniero ascolta volentieri le suppliche e approfitta dei servigi (“vulite ‘o caffè?”, “la barba ve la fate da sé?”) di un sottoufficiale delle guardie carcerarie, che gli riporta tutta la debordante miseria dell’onesta gente di Napoli, vessata da politici di bassa lega e afflitta da disoccupazione e fame endemica, affinché il vecchio boss possa intercedere presso gli interessati e fare quella giustizia che i poteri dello Stato negano all’uomo della strada, semplice e indifeso.

Bravo Marcorè, e bravissimi i suoi tre giovani musicisti, tra cui spicca l’incantevole voce femminile di Giua.

(*) Per info e biglietti: Teatro Quirino

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:32