Architettura invisibile al Museo Carlo Bilotti

“Architettura invisibile” è il titolo della mostra allestita presso gli spazi espositivi del Museo Carlo Bilotti (all’interno dell’Aranciera di Villa Borghese), che dal 19 gennaio fino al 26 marzo mette in parallelo i movimenti architettonici d’avanguardia italiani e giapponesi degli anni Sessanta e Settanta confrontandoli con giovani architetti, che si pongono nel solco di quei movimenti di mezzo secolo fa, rielaborandone le istanze di fondo in un dibattito architettonico ed urbanistico contemporaneo. È un proposta di alto livello culturale, da non perdere, promossa dalla Fondazione Italia-Giappone, che ha il merito di voler “creare un punto di riferimento per le generazioni più giovani di progettisti emergenti”.

La curatrice della mostra, Rita Elvira Adamo, con notevole finezza ha selezionato rari materiali prodotti dalle avanguardie giapponesi (i “metabolismi”) e italiane (i “radicali”), offrendo, anche al visitatore più inesperto, un quadro facilmente decifrabile. Emergono affinità e differenze tra i due movimenti. E le affinità - nonostante l’evidente distanza geografica - risultano senz’altro più significative: “Uno strenuo tentativo di cambiare la società, con un approccio radicale e provocatorio ed una sensibilità nuova, in armonia con culture vecchie di secoli”, denotando una comune sensibilità per l’ecologia, il rispetto del territorio e del paesaggio; temi che nella cultura architettonica avevano già molto peso negli anni Sessanta e che, ancora oggi, permangono attualissimi.

Per le differenze, circa l’impatto concreto nella società del risultato prodotto dalle avanguardie, “mentre gli architetti giapponesi mantengono ancora un ruolo da protagonista nella società in cui operano, gli italiani hanno avuto una piccola possibilità di condizionare con il loro impatto la società”. È importante ricordare che, sia i radicali italiani quanto i metabolisti giapponesi, fallirono nel loro intento, senza mai realizzare i loro utopistici ed ambiziosi progetti. Il loro messaggio ci è così pervenuto solo attraverso “i loro progetti ed i loro scritti” però, “dopo gli anni Settanta, tali idee hanno aumentato gradualmente l’impatto sulla società e sulla cultura, influenzando tanto il design quanto i nostri concetti di progettazione e stile di vita nello spazio urbano”.

Perché un’architettura “invisibile”? Andrea Branzi chiarisce il motivo: “È l’architettura nell’epoca della globalizzazione, perché immersa in una Metropoli Merceologica”, piena di tutto, dove però “non esistono più fondamenta definitive, dentro ad un mercato illimitato, privo di confini”.

Il percorso espositivo, nella sua parte centrale, si articola lungo tre aree tematiche principali - Ambiente, Tecnologia, Abitare - determinanti per la progettazione che evidenziano il punto di vista centrale per entrambi i movimenti: le istanze sociali e la necessità di un’architettura che le sappia ben rappresentare. I “Radicali” italiani ed i “Metabolismi” giapponesi esprimono entrambi la necessità di dare risposte sul benessere e sul futuro nelle rispettive società. Risultato: guardano lontano e danno risposte di ampio respiro, così da risultare ancora attuali e di notevole interesse sociale, oggi, nell’epoca della globalizzazione. Si tratta di un dato assai significativo, rafforzato dalla forte connessione interculturale, ben messo in evidenza dalla curatrice della mostra e sottolineato da Andrea Boragno (vice presidente della Fondazione Italia-Giappone e presidente ed amministratore delegato di Alcantara Spa, società partner dell’organizzazione della mostra; Progetto Alcantara inoltre sarà presente al Maxi di Roma dal prossimo 3 febbraio con “Un viaggio intorno al mondo da Nord a Sud attraverso i progetti di otto designer internazionali”): “L’interculturalità rappresenta la sfida fondamentale nel processo di globalizzazione delle imprese” ed è “importante contribuire a rafforzare i punti di contatto tra due culture geograficamente distanti, che si possono avvicinare sempre di più mediante la contaminazione culturale e le attività di business”.

(*) Nella foto: Awazu Kiyoshi, Poster for the work of Kurokawa Kisho (1970)

Aggiornato il 22 giugno 2017 alle ore 13:05