Al Teatro Argentina una bisbetica per finta

Al Teatro Argentina di Roma va in scena (fino al 2 marzo) “La Bisbetica domata” di William Shakespeare, per la regia di Andrej Končalovskij. L’ambientazione (inizio anni Venti del secolo scorso), spegne un po’ le tonalità dei costumi classici, per far emergere una vitalità tutta nuova, con sfondi di scena alla De Chirico (prospettive di blocchi squadrati, scavati da profonde arcate tondeggianti, di dimensione trecentesca, caratteristica di arazzi e affreschi, in cui gli uomini avevano le stesse dimensioni degli edifici).

La musicalità intrinseca e artisticamente genetica di Končalovskij satura con la sua fantasia l’intero spazio-tempo della rivisitazione di un grande classico, facendo disegnare ai corpi degli attori, sempre in movimento, quelle traiettorie quasi-ergodiche, che portano, attraverso il linguaggio corporeo, una messe illimitata di informazioni sui personaggi contenuti al loro interno. Sono proprio quelle curve di inviluppo, che ripassano così tante volte per lo stesso punto, a restituire l’immagine complessiva della composizione verbale stessa: una sorta di “pointillisme” in chiave teatrale.

In particolare, la carica energetica, leggera e delicatamente emotiva, è restituita dalla focosità degli attori giovani, ora nei panni di servi, ora in quella di padroni, veri e finti. Quello scambiarsi di abito tra sottoposti e principali (servi o precettori che siano) nasconde astuzie e insidie (l’errore di “misunderstanding” è sempre in agguato e, non di rado, viene progettato dagli interessati come un raffinato meccano, o macchina, di scena). Dietro baffi e finti occhiali, giocati come una maschera carnevalesca, si propende, come un braccio invisibile, una sensualità prepotente e affiorante, sia dell’età matura (o, addirittura, anziana e velleitaria), che di quella ben più giovanile dell’espressività studentesca. Mentre da lontano, appena accennate, si sussurrano le rivalità tra i grandi comuni italiani di epoca trecentesca, con Dogi e Signorotti a difendere le proprie valli, costumi e sfere di influenza. Sicché gli anziani dànno a vedere di conoscersi, praticamente tutti, per fama, diffusa dall’eco dei commerci ben riusciti o dell’estensione dei grandi latifondi, cui si abbinano proprietà immobiliari di lusso, conseguenza dell’ampia disponibilità di denaro che quei beni comportavano.

Ma la irraggiungibile maestria di Shakespeare si gioca su molti piani, taluni posti espressamente in una posizione frontale, altri più in ombra, apparentemente fugaci, ma in realtà pregnanti. Il segreto, in fondo, è quello di mai dire e sempre far intuire. Come accade per la parte simbolica sostanziale, evidenziata onde dare risalto allo stereotipo della donna-oggetto: prima figlia e poi moglie. Alcune volte, sposa controvoglia. In altre realtà, solo apparentemente consenziente. Quel modo geniale di legare con corda doppia due generazioni (Končalovskij lo fa anche immaginificamente,facendo apparire le due sorelle, in una scena in cui la Bisbetica è ritratta in una fase acuta d’isteria dispettosa, tenendo legata con una lunga corda la sorella minore, con le mani imprigionate, come si farebbe con un qualunque prigioniero di guerra). E, quel laccio lungo, quasi a domare una puledrina focosa, ha un aspro sapore di solidarietà competitiva.

Per volontà paterna, infatti, la minore potrà sposarsi soltanto “dopo” che l’avrà fatto la maggiore, utilizzando la piccola come “traino” sessuale ed emotivo della grande. Grandioso è l’effetto “miroir” di Shakespeare, in cui si dà apparentemente a vedere la figura dispotica di un padre-padrone quando, in realtà (e qui Končalovskij non sbaglia un solo inserto, muovendo magistralmente la mimica dei suoi personaggi), è la risultante di una povera vittima di due figlie femmine, dispotiche e tiranne, che dispongono di lui a loro piacimento!

E lo specchio deformante rimanda, senza sosta, altre immagini distorte. Come quella in cui l’uomo, il marito prepotente al quadrato, doma “Lei”, alternando una buona dose di effetti speciali, tra cui l’astinenza dal sonno e dal cibo, che stressa la Bisbetica, provocando, per controreazione quasi freudiana, la cancellazione (se non altro temporanea) dell’isteria, attraverso l’affermazione dello “stato di necessità”. Ovvero: il bisogno che scaccia il capriccio, fino a piegare la donna ad assecondare le più strambe e folli stravaganze dell’uomo-marito, come quella di scambiare la luna con il sole, o un uno maturo e pingue signore con una donna giovane e affascinante. Ancora: scommettendo i mariti sull’obbedienza della moglie, sarà la Bisbetica ad assecondare il suo, dandogli la vittoria e recitando il “papiello” della moglie devota e doverosa alle altre due. Ma dov’è il trucco? Chi, in realtà, in questi giochi di coppia, prevale davvero sull’altro? L’uomo ha il potere che si dice, o no?

A leggerlo bene, il Grande Bardo, direi di “No”! Perché, a mettere l’orecchio al suolo, ascoltando i rumori profondi del terreno, si sente salire l’onda di energia dal corpo e dalla figura della donna, centro degli affetti profondi, colei che concedendosi come devota, fa una scelta consapevole, per dare sicurezza a un maschio sempre bisognoso di accudimento, di stima e di rispetto. La donna in realtà non è mai una sottomessa. Comanda nell’intimo dell’animo dell’uomo, e può giocarselo a dadi come e quando vuole. In lei non c’è violenza. C’è comando profondo, di matrice psicologico- affettiva. Lo spettacolo è davvero bello. Rilassante e gradevole come una coppa di champagne il dì di festa. Da non perdere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36