
L’uomo che ha fatto esordire Michael Schumacher. Ma anche molto altro. L’ex pilota, dirigente sportivo, conoscitore e commentatore di Formula 1 Eddie Jordan si è spento oggi, a Cape Town, dopo una lunga battaglia con una malattia. Il punto di riferimento del mondo delle corse avrebbe compiuto 77 anni il prossimo 30 marzo, ma ha lasciato anzitempo un mondo forgiato anche dei suoi successi e dalle sue intuizioni. Jordan lascia un’enorme eredità che lo ha reso, negli anni, un vero punto di riferimento per il mondo delle corse. L’istrionico ex team principal e imprenditore irlandese, che combatteva da tempo contro un tumore alla vescica e alla prostata, viene pianto dal mondo della Formula 1. La notizia è stata confermata dalla sua famiglia attraverso un comunicato ufficiale, che ha specificato come Jordan sia morto serenamente, circondato dai suoi cari.
Eddie aveva iniziato in pista, come tanti. Negli anni Settanta si era fatto un nome nel karting irlandese, poi in Formula Ford e Formula 3. Ma il destino gli aveva riservato un altro ruolo: un brutto incidente nel 1976 lo costrinse a rivedere i suoi piani. Invece di mollare, decise di restare nel motorsport da un’altra angolazione: quella di chi i piloti li scopre, li cresce e li porta al successo. Nel 1979 fondò la Eddie Jordan Racing, una fucina di talenti nelle categorie minori, da cui sarebbero usciti futuri campioni come Jean Alesi, Damon Hill ed Eddie Irvine. Il talento di Jordan non era solo nella gestione, ma nello scouting: vedeva oltre, sapeva individuare chi aveva qualcosa di speciale. Nel 1991 Jordan fece il grande salto: portò il suo team in Formula 1. Un’impresa rischiosa, da indipendente contro le scuderie “gigantesche”. Ma la sua mentalità non cambiò: audacia, coraggio e scommesse sulle persone giuste. E fu proprio così che scrisse una pagina di storia: nel Gran Premio del Belgio 1991, un giovane tedesco praticamente sconosciuto si ritrovò su una sua monoposto. Michael Schumacher. Un debutto lampo, un’illuminazione. Pochi giorni dopo, la Benetton lo soffiò alla Jordan, ma il mondo aveva appena scoperto un talento destinato a dominare la Formula 1.
La scuderia irlandese divenne un simbolo di sfida ai colossi. La prima vittoria arrivò nel 1998, in una delle gare più caotiche di sempre a Spa, con Damon Hill. Nel 1999 la Jordan sfiorò il sogno, vincendo due Gran premi con Heinz-Harald Frentzen e lottando per il titolo. L’ultimo acuto fu nel 2003, con Giancarlo Fisichella che vinse un Gran Premio del Brasile surreale, tra pioggia, incidenti e una vittoria assegnata solo a gara finita. Ma il mondo delle corse cambia in fretta. Nel 2005 Jordan vendette il team, che negli anni successivi avrebbe cambiato volto più volte: Midland, Force India, Racing Point e infine Aston Martin. La fine di un’era, ma non della sua storia.
Eddie Jordan non sarebbe stato tipo da pensione tranquilla. Il suo carisma, la sua parlantina e il suo stile inconfondibile lo portarono davanti alle telecamere. Divenne opinionista, intrattenitore, narratore di storie, prima per la Bbc, poi con il podcast Formula For Success accanto a David Coulthard. Era imprevedibile, ironico, sopra le righe. Camicie sgargianti, battute taglienti, zero peli sulla lingua. Un personaggio che il paddock adorava, perché con lui la Formula 1 non era mai noiosa. Christian Horner, team principal Red Bull, lo ha ricordato con parole sentite: La “Formula 1 ha perso una leggenda. Il suo spirito, il suo ingegno e il suo charme irlandese ci mancheranno. Le nostre più sincere condoglianze alla sua famiglia. God speed, Eddie.” Anche Damon Hill, uno dei suoi pupilli, gli ha reso omaggio: “Eddie era unico. Un uomo che ha dato tanto alla Formula 1 e che ha sempre creduto nel talento dei piloti, anche quando nessun altro lo faceva. Mi ha dato un’opportunità incredibile e mi ha sempre sostenuto. La sua energia e il suo spirito mancheranno tantissimo a tutti noi”.
Aggiornato il 20 marzo 2025 alle ore 13:47