Pogačar è pulito? “Oui, peut-être”

A pensar male si fa bagarre, che è proprio quello che manca oggi al ciclismo internazionale. Quello francofono comincia quantomeno a legittimare domande e insinuazioni sul cannibale di Komenda. I soliti sospetti erano cominciati pochi giorni dopo il successo al Giro di Lombardia, in un 2024 in cui Tadej Pogačar ha vinto nove delle 11 competizioni a cui ha partecipato (Strade Bianche, Volta Catalunya, Liegi-Bastogne-Liegi, Giro, Tour, Gran Prix de Montreal, Mondiale, Giro dellEmilia e Lombardia). Il 26 ottobre scorso sul sito di France Info compare un articolo con questo titolo: Cyclisme: lombre du dopage sur un peloton surmédicalisé (l’ombra del doping su un gruppo iper medicalizzato). La nona competizione stagionale vinta (per un totale di 25 vittorie tra tappe, corse di un giorno e classifiche generali) scatena la cellule investigation di Radio France che “svela” (svela?) l’utilizzo intensivo di medicinali e integratori alimentari tra i corridori: “prodotti autorizzati ma suscettibili di migliorare le prestazioni”. Il sospetto s’insinua già nelle prime righe.

Gli inviati di Radio France ricordano che all’ultimo Tour, nella 14ª tappa, Pogačar ha pedalato il Pla dAdet (Pirenei) a una media di 22 chilometri orari. Negli ultimi 9 chilometri della salita, poi, lo sloveno ha addirittura battuto il record di Lance Armstrong (quello risorto da tumori e metastasi e poi sette volte consecutive dominatore della Grande Boucle e poi dopatissimo e sconfessatissimo) del 2001. Il giorno dopo, al plateau de Beille, ricordano i cronisti, con più di 15 chilometri di ascensione, Pogačar viaggia a 24 allora di media. E all’arrivo, si fa notare, “nessuna maschera di dolore o sofferenza”, anzi, sale sui rulli per il defaticamento “sorridendo e mangiando caramelle dello sponsor: non sembra stremato, anche se ha prodotto uno sforzo violentissimo”. Secondo l’inchiesta, di fronte a queste prestazioni fuori dal comune, lo scetticismo nell’ambiente si moltiplica, ma nessuno ci mette la faccia. Le testimonianze sono anonime. Un dottore che ha lavorato in una squadra francese punta l’indice sulla bocca sempre chiusa di Pogačar, il che significa che la sua ossigenazione è “perfettamente assicurata”. Nelle ultime centinaia di metri, rileva, “il suo stato di freschezza è incompatibile con l’energia sviluppata”. La miccia è accesa, Qualcuno prova a spegnerla subito.

Un ex compagno di squadra del cannibale, Alexys Brunel, assicura che nell’Uae “ci si allena e si pedala in maniera diversa”: meno chilometri, ma “più intensità ed esercizi più lunghi”. E più in generale, aggiunge qualche direttore sportivo, è aumentata la cura dei particolari nell’aerodinamica, ma anche nei tessuti delle magliette, dei guanti, nei materiali degli occhiali e del casco. Insomma, con l’abbigliamento bionico Pogačar sta demolendo la concorrenza. È una questione genetica, assicurano dalla federazione francese di ciclismo, anche se nelle giovanili questa differenza genetica non si è notata, visto che lo sloveno si è piazzato, al massimo, terzo agli europei juniores del 2016. Al di là delle boutade, dall’inchiesta di France Info emerge la possibilità che di genetico potrebbe esserci il doping. Secondo Olivier Rabin, direttore di scienza e medicina presso l’Agenzia mondiale anti doping (Ama), si tratterebbe di una diversione della terapia genica utilizzata in ambito medico. Nello specifico, il doping genetico potrebbe consistere nell’aggiunta di un gene supplementare per l’Epo o per l’ormone della crescita, due ormoni naturalmente presenti nel corpo umano, ma la cui produzione verrebbe così stimolata. Per Rabin, potrebbe trattarsi anche della “modifica dell’espressione di un gene mediante l'aggiunta di Rna messaggero per produrre più proteine”.

Siamo alle solite, dunque: usare le medicine per i sani, per giunta atleti professionisti. Scenari plausibili per l’Ama, se è vero che negli Stati Uniti, i biohacker manipolano sequenze genetiche per somministrarle ad animali o esseri umani. “È la realtà del mondo in cui viviamo – dice Rabin – e dobbiamo prepararci a questa minaccia”. Tutto questo a fine ottobre. A dicembre la squadra di Pogačar annuncia che non farà più ricorso alle inalazioni di monossido di carbonio, malgrado non figuri nella lista dei prodotti dopanti. La decisione arriva dopo le rivelazioni in pieno Tour del sito Escape collective circa l’utilizzo della pratica da parte di Uae, Visma Lease e Israel-Premier, con tutto lo strascico di polemiche che aveva visto l’Unione ciclistica internazionale (Uci) chiedere all’Ama di prendere posizione su una tecnica legale, ma molto chiacchierata. Dopo tre mesi di relativa calma, stavolta sono i belgi a riattizzare il fuoco. Dopo la vittoria (in rimonta dopo una caduta) alle Strade Bianche, già la quarta dell’anno, l’opinionista di punta della Rtbf – la tivù pubblica di lingua francese – Gerard Bulens, ex ciclista ed ex direttore sportivo, solitamente molto prudente, questa volta la butta lì. Pogačar “ha vinto nonostante le avversità, è molto, molto forte. E rimango in soggezione per le sue prestazioni, ma spero che un giorno non ci verrà detto che…”, afferma nel corso della trasmissione On connait nos classiques. Interrogato sui quei puntini sospensivi qualche minuto dopo, Bulens parla dei dubbi che circolano nell’ambiente: “Penso che per tre o quattro corridori ci siano delle differenze che oggi stanno diventando eccessive. Possiamo immaginare che queste siano capacità fisiche chiaramente superiori in termini di potenza che possono esercitare a livello cardiaco. Ma ci sono voci che non possiamo ignorare. Ovviamente spero che Pogačar, Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel siano al di sopra degli altri grazie alle loro capacità fisiche e alla preparazione della squadra. È chiaro che oggi abbiamo un ciclismo a due velocità e che alcuni si fanno delle domande. E credo che sia legittimo porsi qualche domanda”.

La “prova” che legittima i sospetti nasce sempre da quella “maschera di sofferenza” alla fine delle gare che si riscontrava nel recente passato anche nei grandissimi come Eddy Merckx o Bernard Hinault, e che invece non c’è mai nel volto del campione sloveno. A chiudere, per ora, l’arcano ci pensa l’ex ciclista belga, Gaetan Bille che alla Rtbf rivela che l’Uae Emirates ricorrerebbe all’Intelligenza artificiale, quantomeno per migliorare le tecniche di allenamento e analizzare ogni particolare, grazie a una serie di collaborazioni avviate con ricercatori e università. Anche in questo ambito, dicono, la “corsa agli armamenti” è ben avviata. Ognuno col suo bazooka. Sperando che un giorno non ci verrà detto che…

Aggiornato il 12 marzo 2025 alle ore 10:02