Questo tennis moderno è il paradiso dei nuovi cafoni

Gli allibratori (bookmaker, per chi ciancica l’inglese) sono già al lavoro. Gli scommettitori s’interrogano sul primo daspo a un tifoso di tennis già entro il 2025. Dopo la ola, la musica coatta a tutto volume al cambio di campo (ma in quel minuto di pausa il tennista non avrebbe bisogno di un po’ di quiete per riordinare le idee?), si attendono importanti sviluppi sulla possibilità portare striscioni, bandiere, sciarpe, fumogeni. E hai visto mai che un giorno ci scappa pure una bella scazzottata fuori dallo stadio tra tifosi delle opposte fazioni (la Brigata Rune contro gli Ultras Shelton, ve lo immaginate?). Si sta abbassando la quota anche della rissa in campo tra i giocatori, ipotesi tutt’altro che peregrina dopo quanto ci hanno fatto vedere (e sentire) in questi anni i vari Nick Kyrgios, Stefanos Tsitsipas, Daniil Medvedev, Holger Rune, Benôit Paire, ma anche gentili donzelle come Danielle Collins, Jeļena Ostapenko, Kristina Mladenovic e tante altre.

E non stiamo parlando di Coppa Davis, la cui nuova formula con le finali in campo neutro ha di fatto reso l’ambiance meno bollente (togliendo però, va riconosciuto, alla manifestazione quel fascino e quella tensione che scaturiva anche dalla possibilità che la torcida di casa potesse essere in qualche modo determinante per il risultato finale), ma dei tornei Atp e Wta e soprattutto degli Slam. Il tennis moderno sta davvero diventando il luogo preferito dei nuovi cafoni? Tralasciando per un attimo il comportamento dei giocatori (anche fuori dal campo, vedi i deliri via X di Kyrgios contro Jannik Sinner), la conferma arriva dagli atteggiamenti di un pubblico pagante sempre più indisciplinato. E soprattutto sempre più ubriaco, come fatto notare dagli stessi tennisti impegnati nei giorni scorsi in Australia per il primo slam della stagione.

Ormai è una tendenza consolidata da anni (come dimenticare l’immagine, di qualche anno fa, della tifosa spagnola sbronzissima che mostra il dito medio al suo idolo, un prima sorpreso e poi molto divertito Rafa Nadal?). Gente con tasso alcolemico a livelli di guardia che riempie le tribune, soprattutto nelle sessioni serali, e vive la partita come se fosse a casa sua davanti alla tele (ovviamente col birrone gelato): commentando ad alta voce durante lo scambio, chiamando la palla out pensando di sbracare sulla poltrona in salone, senza contare fischi, buuu, insulti e grossolani tentativi di distrarre il giocatorerivale” prima del servizio. A New York invece (Us Open, settembre, Grande Mela, fine estate, alta borghesia newyorkese tirata a lucido – e botox – evento mondano oltre che sportivo, tardo edonismo reaganiano) si chiacchiera parecchio.

Ormai il silenzio, relativo (quello assoluto lo hanno abolito da parecchio), durante lo scambio è pura utopia. A tal punto che Jessica Pegula ha dichiarato 2 anni fa al torneo di Miami che “se il pubblico potesse anche camminare durante i punti non sarebbe un problema; non mi preoccupa se le persone stanno in piedi o urlano o parlano”. La dichiarazione fu sollecitata in seguito a quanto detto da Francis Tiafoe, che in quei giorni affermò “che per attirare più giovani a guardare il tennis dovrebbe esserci la possibilità di camminare sugli spalti durante i punti”. Due tennisti americani che “spingono” per consentire al pubblico un atteggiamento più “rilassato”, al limite della maleducazione: sarà un caso? Probabilmente no, considerato che negli ultimi tempi gli spettatori più agitati sono proprio australiani e statunitensi (ma anche a Roland Garros ultimamente si svacca che è una bellezza).

Che cosa spinge alcuni tennisti a sdoganare un comportamento dello spettatore simile a quello che si osserva in tutte quelle discipline sportive in cui non si ha l’obbligo del silenzio durante il gioco? Probabilmente il fatto, e qui sta il punto secondo noi, che sia cambiato (in peggio) il comportamento stesso del tennista in campo, che inconsapevolmente sta legittimando lo spettatore a modificare (in peggio) il suo contegno sulle tribune. È evidente, infatti, che se l’omologazione regna sovrana (e qui si potrebbe aprire un capitolo a parte sui disastri compiuti da allenatori, mental coach, preparatori e motivatori vari, che hanno creato il giocatore moderno in serie, tutto pugnetto-urletto-asciugamanetto), il/la tennista tipo, che a ogni punto (già dal primo della partita) esulta come un calciatore che corre sotto la curva, urla come un ossesso verso avversario e allenatore, mostra i bicipiti (spesso scoperti causa canotte inaccettabili modello Nadal, che ha avuto indubbiamente il torto di assassinare una certa estetica nel tennis), insulta l’avversario, prova a impallinarlo con smash o volée dirette al corpo, aizza o provoca il pubblico, demolisce 2-3 racchette a partita, qualche strana idea allo spettatore potrebbe fargliela venire. Tipo: se questi in campo combinano tutto sto casino, allora partecipo volentieri anche io. Insomma, se il coatto (istituzionalizzato) è in campo, il cafone potenziale (e dormiente) in tribuna si fa parte attiva (e consapevole) dell’osceno consolidato. E così il lodo Tiafoe-Pegula rovinerà definitivamente il tennis. E farà rimpiangere il John McEnroe furioso dei giorni peggiori.

P.S. Ben Shelton si è lamentato della mancanza di rispetto dei giornalisti televisivi (broadcaster, sempre  per chi ciancica): “Ci sono stati alcuni commenti, fatti da vari personaggi delle interviste post-match rivolgendosi a me, come tipo: Hey, Monfils è abbastanza vecchio per essere tuo padre, magari è tuo padre. Oppure oggi: Ben, come ci si sente a sapere che nessuno farà il tifo per te, non importa chi vinca l’altra Semifinale. Potrebbe anche essere vero, ma non credo sia un commento rispettoso, per di più fatto da una persona che non ho mai incontrato prima in vita mia”. Anche la categoria, dunque, segue l’andazzo, e si adegua al livello. O contribuisce ad abbassarlo. Ma questa non è una notizia.

Aggiornato il 23 gennaio 2025 alle ore 16:05