Arrivare secondi, perdere una finale di coppa, può avere una duplice valenza. Insomma, è una questione di punti di vista. Un approccio, il più idealista, è quello condensato da Max Pezzali ne “La dura legge del gol”. Ovvero: te ne freghi del risultato e delle pive nel sacco crogiolandoti però del tuo gioco superlativo e della bellezza, seppure sterile, che riesci a ricamare in campo. Prosaicamente parlando: Olanda di Johan Cruijff, “zero titoli” ma anche il ricordo dello spettacolo che fu. La seconda prospettiva è quella più aderente al realismo tout-court. Arrivare secondi vuol dire perdere. Tutto qui. Anzi, Helenio Herrera, l’allenatore della grande Inter degli anni Sessanta, ricordando che negli almanacchi rimangono solamente le squadre vincenti, ci teneva a precisare che il secondo classificato non è altro che il primo degli sconfitti.
Ebbene, tutta questa filippica per dire che sì, l’Atalanta deve scegliere a quale filosofia di gioco (ma ancor prima di vita) vuole appartenere. Perché è una squadra capace di grandi stagioni, di partite memorabili a livello europeo (sempre nell’ottica dei 180 minuti), di giocate da urlo ma una volta giunta alle meritatissime finali, ecco: il giocattolo si inceppa, la magia svanisce e il talento viene diluito in litri di nervosismo e di una personalità ancora lontana dal garantire nervi saldi e controllo del gioco.
La Juventus, dal canto suo, conclude una stagione difficile, iniziata con una campagna acquisti poco più che inesistente, terminata però con la qualificazione alla Champions con due giornate d’anticipo e una Coppa Italia colma di buoni auspici per l’anno venturo.
Le grandi squadre sono queste: magari giocano così così, possono avere un potenziale tecnico in parte inespresso oppure una scarsa qualità come condimento tattico, epperò, quando serve, cioè nei momenti topici della stagione, caspita, grondano di cinismo e di motivazioni come se non ci fosse un domani.
Aggiornato il 16 maggio 2024 alle ore 11:48