Gigi Riva aveva già da tempo oltrepassato la soglia che separa il campione dalla leggenda e la leggenda dal mito. Un mito, peraltro, che ha travalicato la dimensione calcistica. Già, perché l’epopea dello scudetto cagliaritano non è stata semplicemente solo un’impresa calcistica, ma il grimaldello sportivo che ha consentito a un’intera isola di riscattarsi socialmente.
Gigi Riva divenne il quinto Moro nonostante un approccio non privo di diffidenza con quella terra antica e orgogliosa. Una storia, quella tra la Sardegna e il campione, che di certo non si andrà a esaurire ora che il Rombo di tuono è stato accolto nei grandi spazi celesti dove potrà sprigionare ancora lampi della sua classe. Perché Gigi Riva venne adottato dai sardi, lui che rimase orfano in tenera età, e adesso, probabilmente, quella terra lo ricoprirà custodendo il suo corpo e vieppiù la sua memoria. Parli di Riva e della Sardegna e pensi a un romanzo di Ernest Hemingway come a una canzone di Fabrizio De André dove a essere protagonisti sono persone semplici capaci di grandi riscatti, pur rimanendo sé stessi e con la loro vita incapace di esagerare, poiché vincolata a dei solidi argini morali. Vinse con il Cagliari e con la Nazionale. Giocò partite che la storia ha più e più volte omaggiato per la loro irripetibile unicità.
Se ne va così, in un lunedì di gennaio, lasciando il ricordo di un uomo perbene e di un giocatore capace di interpretare il calcio come nessuno mai.
Aggiornato il 23 gennaio 2024 alle ore 11:49