Jannik Sinner ha portato il tennis a tutti

Jannik Sinner, il nostro italiano di 22 anni, non è riuscito a vincere la finale Atp a Torino contro Nole Djokovic, che a 37 anni ha conquistato il suo settimo titolo. L’altoatesino già aveva straordinariamente battuto il re del tennis nelle qualificazioni, rimanendo imbattuto fino all’ultima partita. Bisogna dire che Sinner in finale non ha giocato al suo normale livello, e quindi non c’è stato un vero confronto tennistico in cui abbia prevalso “il migliore”. Ha vinto l’esperienza, il ruolo consolidato, ha vinto il sistema tennistico con i suoi contratti da capogiro, ma anche questo è d’insegnamento. E di fatti lo stesso Nole Djokovic, una volta rassicurato, ha voluto incoronare il giovane avversario quale erede numero uno della racchetta. “È un fenomeno”, ha commentato nelle interviste col volto da cui aveva smontato il ghigno scuro. Inoltre, ha pubblicamente lodato lo staff di Jannik, la sua famiglia, addirittura elargendo consigli per il futuro, capendo che il titolo non gli sarebbe bastato per contenere la simpatia che “il fenomeno pel di carota” ha portato sui campi da gioco. Un record di pubblico mai verificatosi prima, a cui tutto il tennis si è dovuto piegare.

Jannik Sinner è riuscito a far appassionare al tennis milioni di telespettatori e pubblico comune, tra cui anche tanti giovani. Ha trasformato il Pala Alpitour in una eccellenza mediatica. Uno stadio vissuto e diffuso come le finali mondiali del calcio. E lo è un’opera straordinaria di questa Italia che arranca: una struttura capace di ospitare fino a 16 mila spettatori, inaugurata nel 2005 in occasione dei XVIII Giochi Olimpici Invernali, con una superficie di 70mila metri quadrati, a forma ellittica con una copertura in acciaio, progettata dall’architetto Massimiliano Fuksas. Non era mai accaduto che il tennis registrasse audience da capogiro. Jannik Sinner porta a casa picchi in crescita a ogni sfida, fino al colossale 29,3 per cento di share e 5 milioni e 493 mila spettatori su Raiuno, alle 18 di domenica scorsa. Già, perché i dirigenti Rai quando si sono accorti della valanga di fan hanno passato da Raidue alla rete ammiraglia la finale delle Atp finals, eliminando dal palinsesto tutte le trasmissioni nazional-popolari col rischio di offrire a una platea generalista uno spettacolo diverso. Chi ha detto che lo sport e il talento non fanno ascolti da prime time? È andata alla grandissima, tre ore di partita in cui nessuno ha schiodato dal video. E se si aggiungono agli ascolti di Raiuno quelli di Sky e degli altri canali il record è assoluto. La finale Djokovic-Sinner è stata la partita di tennis più vista di sempre. E che sia un merito di Jannik lo si evince dal fatto che lo stile e le performance dei grandi non avevano mai appassionato un pubblico così ampio. Il giovane italiano ha scatenato “la sinnermania”, che non è solo marketing, ma merito e qualità.

Cosa vuol dire lo ha spiegato lo stesso “ragazzo d’oro”. Perché il pregio di Jannik Sinner non è solo il talento tennistico, ma il suo carattere e la sua mentalità. Lo criticano di parlare uno scarso italiano, ma non perché sia della Val Pusteria, nato a San Candido da genitori tedeschi. Lui ha capito che c’è chiasso e dunque preferibile parlare poco e chiaro, accennare come fasci di luce, poi umilmente lasciare che siano gli altri a scoprirti. Perché “le tue parole fanno bene”. Ecco il segreto di una formula. Le parole di Jannik Sinner fanno bene. Non solo perché vince, perché è un influencer da imitare, ma perché quello che dice è semplice, aperto e leale. Delle giornate di Torino ha detto di sentirsi contento proprio per l’affetto del pubblico: “Perché il tennis tra tutti gli sport non è facile da seguire per chi non lo pratica – ha spiegato all’intervistatore che lo incalzava – una partita si sa quando inizia ma non quando finisce, può durare anche tre ore, in cui bisogna stare fermi e silenziosissimi. I bambini, i giovani, i punteggi, non tutti sono consapevoli. Quindi è una grande risultato aver comunicato la bellezza di questo sport, che sta facendo crescere la partecipazione alle partite ma anche alla pratica sportiva”.

Non solo mito, non solo immagine, non solo denaro. La rivoluzione di Sinner è riportare lo sport entro se stesso, l’umiltà del talento e la simpatia della vittoria. Un professore del liceo ha pubblicato sulla sua pagina una intervista del Corriere della Sera al campione e ha scritto: “Ho detto ai miei alunni che Jannik è un modello e una paradigma di vita”. Perché, cosa voleva dire in questo tempo in cui si vorrebbe caricare la scuola di sostituirsi alla patria, alla politica, alla chiesa, alla famiglia, a tutto quello che non funziona. Capire le parole, studiare grammatica e sintassi, con la letteratura cogliere le sfumature e con la matematica e le altre materie, come diceva Einstein, aprire il cervello come un paracadute.

Racconta Sinner nell’intervista: “Per il tennis sono andato via di casa a 13 anni. Mi dà emozioni positive e negative, gioie e dolori. Mi dà tutto. Respingo il concetto di essere un’azienda: il mio pensiero non è il fatturato, non sono mai i soldi. Se lo fossero giocherei sempre, accetterei le esibizioni, non prenderei pause. A me al contrario interessa alimentarmi bene, dormire le ore giuste, mangiare a casa ogni volta che posso, farmi trovare in campo pronto la mattina dopo. Pronto a migliorare. Se non gioco il Master 1000 di Madrid o il Girone di Coppa Davis, capisco che i tifosi magari ci rimangono male, ma è perché sono a Montecarlo che mi spacco di lavoro. Il mio obiettivo non è fare soldi: è diventare la migliore versione di me possibile. Numero uno del mondo? Boh, vedremo. Magari n.4 è il mio limite. Desidero scoprirlo. E per farlo devo dire di no a qualcosa, sennò la stagione diventa interminabile. Quest’anno chiuderò con 22 tornei giocati: meno gare, più blocchi di lavoro. Dicono: Jannik è diventato più muscoloso. Eh, certo. Anziché andare in giro mi sono chiuso in palestra. Solo così si cresce, secondo me. I calciatori scommettono per noia? Sono ambienti diversi, io quello del calcio non lo conosco. Ma nemmeno la noia so cosa sia. Questa è la vita che sognavo da bambino, la proteggo. E se proprio mi annoio, mi costringo a prendere in mano un libro: non voglio stare troppo sul cellulare”.

Questa filosofia è racchiusa in quel “pugnetto”, quel gesto che Jannik fa ogni volta che supera una difficoltà, che segna un punto. Un “pugnetto” rivolto a se stesso, come dirsi “forza Jannik, ce la fai”. Una grande lezione di carattere, grinta e soprattutto non violenza anche nello sport.

Aggiornato il 21 novembre 2023 alle ore 11:14