Ritratti. Angelo Jacopucci, il “Clay dei poveri”

Tarquinia – comune laziale di quasi 16mila abitanti – negli anni Settanta ha vissuto un momento di tutto rispetto nel panorama della boxe. Il suo fiore all’occhio, a imperitura memoria, è – e rimarrà – Angelo Jacopucci. Per molti è l’Angelo biondo o il Clay dei poveri, quest’ultimo appellativo è un tributo a Muhammad Alì, The Greatest, il più grande. Non ha il colpo del ko, ma Madre Natura gli mette a disposizione un fisico asciutto, dislocato su 187 centimetri di altezza, che gli consente di poter “giocare” con l’avversario, schivando colpi, assestando pugni precisi e decisivi per la vittoria finale. È un tecnico, ha gioco di gambe, ha classe. È veloce. Con una bella faccia, che non guasta.

Origini umili, da ragazzino ha la nomea di essere un attaccabrighe. La palestra, così, diventa il luogo dove capire cosa fare da grande. Per poter, perché no, diventare grande. Non è un cuor di leone. Però dentro il ring si trasforma. Come accade spesso a chi imbocca la strada della noble art, ossia la nobile arte della boxe. Dicono che sia un effetto naturale. O meglio, una reazione naturale. Tanti, invece, sostengono che un pugile, davanti, non abbia mai uno sfidante bensì se stesso. Un io da superare, per oltrepassare le proprie incertezze. Le proprie paure, talvolta i propri mostri. Comunque sia, Jacopucci comincia a far parlare di sé. Dalla sua parte non ha i favori della stampa. Ma il tarquinese, per certi versi, se ne frega. Sa combattere così. Perché cambiare. E invece…

Invece la storia è un’altra. Campione italiano dei pesi Medi, poi campione europeo di categoria. Perde il titolo alla prima difesa, poi ci riproverà. E l’appuntamento risulta fatale. Davanti ha Alan Minter, inglese, sconfitto tre anni fa dal cancro. Minter – originario del Sussex – ha la mano pesante. Medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Monaco del 1972 nei Superwelter, da professionista passa ai Medi. È un combattente, con un tallone d’Achille: le arcate sopraccigliari decisamente fragili. I due si affrontano il 19 luglio del 1978 a Bellaria, in provincia di Rimini. Jacopucci cambia tattica. Va all’attacco. Sorprendendo tutti, persino i suoi detrattori. Ma contro il britannico la strategia adottata si trasforma in un calvario. All’ottava ripresa Angelo Jacopucci va al tappeto, ma si rialza subito. Quattro round dopo lo shock: Minter raggiunge Jacopucci al volto una volta, poi una seconda, una terza. E una quarta. Ko. L’inglese vince.

Finito l’incontro, Angelo Jacopucci comincerà a vomitare. Da qui la corsa in ospedale. Il coma. E il decesso per una emorragia cerebrale. Morirà a 29 anni. Ne avrebbe compiuti 30 a dicembre di quello stesso anno. Per qualcuno l’arbitro avrebbe dovuto chiudere anzitempo il match, per altri l’angolo del pugile italiano doveva gettare la spugna. Purtroppo, non c’è modo di tornare indietro nel tempo. L’Angelo biondo, il Clay dei poveri – però – da Tarquinia non se ne è andato. A ricordarlo una via, la palestra polifunzionale, l’Asd di Boxe, una corsa ciclistica. E la memoria. Di uno che non è stato un santo, ma che aveva un gran talento. Che da queste parti non si è più visto.

Aggiornato il 17 novembre 2023 alle ore 20:16