
Purtroppo il boia non si ferma mai. Lo denuncia Amnesty International. Lo scorso anno si sono registrate nel mondo 1.518 esecuzioni in 15 Paesi. È quanto emerge dal rapporto annuale sulla pena di morte dell’organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani. Il 40 per cento delle esecuzioni riguarda pene comminate non per omicidio ma per reati legati alla droga. Un numero simile non si vedeva dal 2015, quando si toccò il record di 1.634 uccisioni di stato documentate. Numeri, questi, al netto della Cina, della Corea del Nord e del Vietnam, dove le cifre non vengono diffuse ma dove è noto che alla pena di morte si ricorre in modo massiccio, anche per reati minori, come quelli legati alla droga, con migliaia di esecuzioni. Ma fra quelle accertate, il 91 per cento appartiene a Paesi del Medio Oriente, in particolare a Iran, Iraq e Arabia Saudita, che hanno conosciuto un aumento definito “vertiginoso”. Quanto ai tre Stati mediorientali, nel loro insieme hanno registrato 1.380 esecuzioni. Baghdad ne ha quasi quadruplicato il numero da 16 a 63, Riad ha raddoppiato il suo totale annuo da 172 a 345, mentre Teheran ha messo a morte 119 persone in più rispetto al 2023, da 853 a 972, totalizzando il 64 per cento di tutte le esecuzioni note.
Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty, non ha dubbi: “La pena di morte è un crimine aberrante che non ha posto nel mondo di oggi. Sebbene in alcuni Stati la segretezza continui a ostacolare il monitoraggio internazionale è evidente che quelli che mantengono la pena di morte costituiscono una minoranza sempre più isolata. Con soli 15 Stati ad aver eseguito condanne a morte nel 2024, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo, si conferma la tendenza all’abbandono di questa punizione crudele, inumana e degradante”. E per quanto non esistano cifre complete, si stima che la classifica degli Stati più zelanti nel 2024 veda in cima, nell’ordine, Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Yemen. Quanto agli Stati Uniti, “dove le esecuzioni sono in costante aumento dalla fine della pandemia da Covid-19, sono state messe a morte 25 persone contro le 24 del 2023” e il presidente Donald Trump – ricorda Amnesty – invoca la pena di morte nei confronti di “stupratori violenti, assassini e mostri”.
Il rapporto include un capitolo sulla pena di morte come strumento di repressione, dove si osserva che “diversi leader politici hanno strumentalizzato la pena di morte con il falso pretesto di migliorare la sicurezza pubblica o per seminare paura tra la popolazione”. In alcuni stati del Medio Oriente la pena di morte è stata usata per mettere a tacere difensori dei diritti umani, dissidenti, manifestanti, oppositori politici e minoranze etniche. Su un piano positivo, il rapporto segnala che ad oggi, 113 Stati hanno abolito completamente la pena capitale e in totale 145 l’hanno eliminata o per legge o per prassi. Nel 2024 lo Zimbabwe ha promulgato una legge che l’ha abolita per reati comuni. Per la prima volta, più di due terzi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno votato a favore della decima risoluzione dell’Assemblea generale per una moratoria.
Aggiornato il 08 aprile 2025 alle ore 15:44