
Scrivevo sul rimpiangere e volere che persista l’uomo classico, umanista umano. Se non avverrà una catastrofe da estinzione, e non avverrà, i nostri successori vivranno circostanze strabilianti. Altri pianeti a nostra disposizione viaggiante, energia illimitata, connessione uomo-ritrovati tecnici, cuori artificiali, sangue a nuovo, polmoni ricostruiti, credo una lustratina al cervello ci sarà, pelle indossabile, l’uomo vivrà secoli, e gli spostamenti planetari diverranno ordinari come da Firenze a Pisa. La natura rifatta, forse di naturale persisteranno le stelle. L’uomo o il robot tecnico metteranno becco ovunque. Il grande problema, almeno per noi ancora terra terra è: che ne sarà dell’interiorità umana, l’arte, l’espressione, le domande enigmatiche sulla presenza dell’esistenza verranno considerate o l’uomo diventerà tecno vegetativo e non avrà impulso a creare delegando alle macchine il se stesso? Da prefigurare robot maschi, robot femmine, robottini neonati, gattini robotici: sarà questo il futuro prossimo non staccato, la familiarità del robot. Il timore sta nel trasferimento ossia: il robot intelligente fa tutto, sa tutto, e l’uomo che farà? L’uomo classico. Umanistico manteneva l’insorgenza espressiva (arte) e interrogativa (filosofia) ma se noi la giudichiamo inutile ci troveremo sguarniti, nel campo tecnologico il robot intelligente ci eguaglierà e supererà.
Chissà, tuttavia, un giorno. Volando dalla Terra a Marte, e vedendo spazi e meteore, vuoti e sciami stellari, e inoltrandosi nei cieli mentre laggiù la Terra gira i suoi colori e si distanzia come perdendosi, un uomo in un impulso come l’amante che vede l’amata partire sgorgherà parole sentite, sue, lacerate dal suo animo, quanto veniva detta: poesia, e gli altri viaggiatori rammenteranno che un tempo l’uomo esprimeva quel che gli mescolava dentro: la vita! Il sentire cosciente di vivere e di esprimere quel che sentiamo, di avere una visione e valutazione stretta alla soggettività unica, propria, la non replicabilità dell’Io la coscienza del futuro e della fine ci caratterizzano, purché non perdiamo tali caratteristiche. Mantenere questo groviglio ed esprimerlo è la vita. Purché, ripeto, non ce ne svestiamo reputandolo non utile. La vita oltrepassa i limiti e i vantaggi dell’utile. La vita è il sentire cosciente la sorte umana come individui non soltanto come operatori tecnico utili. L’utile è strumentale al bello: arte-vita. Se l’utile è strumentale all’utile avremo una società ma non avremo una civiltà. Se poi l’utile avvenisse addirittura prevalentemente con il robot rischiamo il deperimento perfino della società. Ma può accadere una rivalità fantastica: l’uomo non intende essere superato e vorrebbe vivere all’estremo. Il superuomo. Auguri, superuomo umano!
Aggiornato il 24 marzo 2025 alle ore 12:25