Nella Praga palachiana, come in gran parte dei Paesi del blocco sovietico, il jazz era un desiderio proibito. Straordinari musicisti suonavano in cantine insonorizzate, metri sotto terra, presidiate da complici i quali a rotazione controllavano che la polizia non si aggirasse nei paraggi. Con il Muro di Berlino crollano i veti e valenti jazzisti d’oltre cortina spuntano alla ribalta. Molti anni dopo, con il peggioramento inarrestabile di quella che un tempo si chiamava musica leggera, il jazz diventa vessillo di chi non si rassegna alla banalità. E si scopre che tante fra quelle che chiamavamo canzoni non lo erano: come minimo si trattava di swing. Ed ecco che interpreti come Nicola Arigliano, Natalino Otto, Jula De Palma, persino Johnny Dorelli e molti altri furono riscoperti in quella chiave: tutti jazzisti, e non lo sapevamo.

Massimalisti come Lino Patruno esternano quotidianamente il loro disprezzo per i generi inferiori, l’intellighenzia sottoscrive: eppure, Stefano Bollani, uno dei più grandi e completi musicisti italiani, racconta, spiega, suona, canta, diverte con le storie di questo mondo, ma fa ascolti bassissimi. Tanto di cappello a lui e alla sua musica, ma non gli si concede più di mezz’ora scarsa su Rai 3, contro tutti i telegiornali del mondo e con l’obbligo di ospitare spesso personaggi improbabili e imposti. Intanto, la musica vera, quella che rende, è allineata contro il patriarcato e per la parità. Sfera Ebbasta racconta, “lei la comando con un joystick, quando parla troppo le tappo la bocca e me la fotto”. Socialmente correttissimo come Tony Effe,  uno dei protagonisti del prossimo Sanremo, nonostante sia stato escluso dal Circo Massimo per alcuni versi poetici come “Bitch, le ordino da casa come Deliveroo”, oppure  “La tua tipa tra i miei seguaci mi vede e apre le gambe”.

Nel 75° festival, dunque, il jazz non servirà, ci saranno letterati e intellettuali, come Elodie, capace di scatenare libidini incontrollate se solo per un minuto si presentasse vestita. In tutto ciò, i veri appassionati di questo genere bistrattato, ma osannato in contumacia, spesso sono costretti a trovarsi come carbonari in locali minuscoli, sotterranei, conosciuti da cerchie molto ristrette. Un po’ come le profonde cantine praghesi, solo, senza necessità di sentinella. I soldi sono veramente pochi, e le sale  diventano circoli privati per evitare le onerose licenze. Quasi sempre anguste, manutenzione sotto il minimo, due o tre euro per la tessera obbligatoria che vale un anno.

Chi si esibisce, anche se ad alto livello, molto spesso non viene pagato: ricavi di 500 euro per una serata devono bastare per spese correnti, bollette, affitti e dintorni: per cinque o dieci artisti non rimane un soldo. Anche i migliori pianisti saranno talvolta costretti ad avvilire la propria musica eseguendola su pianoforti vecchi e persino un po’ scordati: nel pubblico, solo i più esperti sapranno separare il talento dallo strumento. Le locandine dei concerti hanno una diffusione poco più che familiare, e spesso la maggior parte degli spettatori è costituita da parenti e amici dei cantanti e degli strumentisti che si esibiscono. Per non parlare dei gravi rischi di cui raramente ci si rende conto. Un esempio fra tanti, una struttura assurda, in una zona molto turistica di Roma. Porticina, ingresso di un metro per due dove un ragazzo compila le tessere e incassa qualche euro senza rilasciare nulla. Uno strettissimo passaggio conduce alla platea, una gradinata con due panche senza schienale, sedie raccattate,  pochissime poltroncine vere. In tutto una ventina di posti, ma se ne aggiungono altri “abusivi” che occupano gli interstizi, dunque, non è possibile muoversi e si è letteralmente imprigionati in questo ammasso insensato.

Niente uscite di sicurezza: un incendio, ma basterebbe un fuocherello, e quasi nessuno ne uscirebbe vivo. Però tutti si vogliono bene: non c’è aria, ma c’è il jazz, e l’atmosfera è rilassata al punto che 20 minuti dopo l’ora di teorico inizio del concerto una gentile signora che (gestisce?) la saletta annuncia un’ulteriore attesa per l’inizio del concerto. Alle strette spiega che il ritardo è di alcuni spettatori. Proteste, pochissime, ma molto vibrate. Lo show inizia.

Nella speranza di uscirne vivi: chi non ha Fedez, deve avere fede.

Aggiornato il 11 febbraio 2025 alle ore 10:29