![Dire sì al niqab nelle scuole è un segno di resa culturale](/media/8310138/gorgone-1.jpg?crop=0.0483143260329334,0,0.057870642357798804,0.012001278586580557&cropmode=percentage&width=370&height=272&rnd=133836694560000000)
La storia di cronaca è già cosa ampiamente nota. Rimbalza tra social e giornali, la notizia della preside di Monfalcone (Gorizia) che autorizza l’ingresso a scuola delle alunne che indossano il niqab, solo previo riconoscimento. Il niqab è una delle forme più oppressive di velo islamico, associato al movimento del wahhabismo, una corrente integralista vicina all’Arabia Saudita. Nulla da eccepire sul comportamento della preside del liceo goriziano, come fatto notare dal ministro Giuseppe Valditara. La dirigente scolastica si è semplicemente assicurata (nel limite dei suoi poteri) che venisse rispettato l’articolo 5 della Legge 22 maggio 1975, n. 152, in materia di mezzi idonei a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona. Non è la vicenda in sé a far discutere, quanto un dibattito ideologico che va oltre la questione di ordine pubblico. Sul fatto che uno strumento che copre interamente il corpo di una persona, lasciandone scoperti solo gli occhi, sia obiettivamente un problema, pare ragionevole.
A meno che, non ci si arrenda all’idea che si possa rimanere nel dubbio che dietro il velo possa celarsi Maria Rossi al posto di Anna Bianchi, a prendere la presenza all’appello in classe. C’è chi è ancora fermo a questo punto della disputa, come il gruppo del Partito democratico nel Consiglio regionale lombardo. Costoro, in una risoluzione affermano “che nessuno può imporre alle donne come vestirsi, sia esso Stato, Regione, famiglia, singoli individui o altro”. Curioso che dall’elenco si sia sbadatamente omesso il termine “religione”. Uno Stato non può, dunque, imporre alle donne come vestirsi, ma una religione sì? Il punto è proprio questo. Fatte le dovute premesse, ovvero che il Corano in nessun suo verso parla inequivocabilmente del niqab, una riflessione è necessaria. È accettabile che in un Paese occidentale venga tollerato un così plateale atto di sottomissione della donna? Il tema della pervasività della dottrina islamica è centralissimo nelle tornate elettorali di tutta Europa, e non solo.
Ma il niqab ha davvero a che vedere con la dottrina islamica? La questione sta tutta qui. Non mancano frasi e versi controversi nei testi sacri di cristianesimo ed ebraismo, è inutile negarlo. Quello che, invece, è totalmente assente nelle tradizioni occidentali è questa totale commistione tra piano spirituale e civile. Tra le righe di un quotidiano che si ispira deliberatamente a Camillo Benso di Cavour, padre dell’idea di laicità dello Stato, è bene ricordarlo. Il concetto di “Libera Chiesa in libero Stato”, ripreso da Cavour, non è mai giunto nei pressi dei califfati e delle loro interpretazioni. Di fatto, ciò è intrinseco alle origini stesse del musulmanesimo: Maometto era, infatti, non solo un capo religioso, ma anche un capo politico e militare islamico, ai tempi dell’Egira. La differenza sta in questa chiave di lettura. I filtri agli arcaismi e conservatorismi presenti anche nelle nostre religioni sono stati imposti dalla laicità dello Stato liberale. Questi filtri vanno parimenti imposti nei confronti di queste controverse pratiche arabe, senza la paura di essere tacciati di islamofobia. Si tratta, bensì, di una battaglia culturale, per le fondamenta ideologiche della nostra idea di Stato, che va affrontata.
Aggiornato il 10 febbraio 2025 alle ore 13:57