I sentieri della verità nell’era della disinformazione

Nel suo recente intervento sul Corriere della Sera, Paolo Giordano affronta la questione cruciale del nostro tempo: l’essenza della verità in un’epoca dominata dalla disinformazione. La sua riflessione si sviluppa attorno a una dicotomia che, nella sua apparente semplicità, nasconde un abisso di complessità: da un lato le “verità false”, costruzioni sociali accettate per conformismo, dall’altro le “verità vere”, radicate nell’istinto biologico e nella sua appendice popolare, ma ugualmente soggette a manipolazione.

Ma questa distinzione non rischia forse di occultare una questione più profonda? Non siamo forse di fronte all’eterno ritorno di un’illusione: quella di poter distinguere, nel flusso incessante delle interpretazioni, ciò che permane da ciò che muta?

“I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”, scriveva Wittgenstein, quasi a voler circoscrivere il perimetro entro cui si muove ogni nostra pretesa di verità. Eppure, proprio quando il pensiero contemporaneo sembra aver definitivamente liquidato ogni aspirazione a una conoscenza stabile, emerge con forza l’interrogativo sulla natura stessa del vero.

Non è casuale che questa domanda riemerga proprio nell’epoca della post-verità. Mentre il dibattito pubblico si polarizza e le narrazioni si moltiplicano in un caleidoscopio di prospettive inconciliabili, diventa sempre più urgente interrogarsi sul fondamento stesso del nostro sapere. La scienza, nel suo rigore metodologico, è convinta ormai da più di un secolo che la verità sia un processo sempre aperto alla revisione.

Nietzsche aveva già colto questa tensione quando definiva le verità come “illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria”. Ma oggi, di fronte alla proliferazione incontrollata della disinformazione, questa consapevolezza non basta più. La sfida non è più solo teoretica, ma investe direttamente la nostra capacità di orientarci nel mondo.

Il pensiero occidentale ha oscillato per secoli tra l’aspirazione all’assoluto e la tentazione del relativismo, ma forse è giunto il momento di superare questa contrapposizione sterile. La verità non è né un dogma immutabile né una pura costruzione sociale: è piuttosto l’orizzonte necessario di ogni autentica ricerca.

In questo senso, il compito che ci attende non è quello di demolire ulteriormente l’idea di verità, ma di ripensarla radicalmente. Non si tratta di tornare a un ingenuo realismo, ma di comprendere che la verità, pur nella sua problematicità, rimane il terreno su cui si gioca la possibilità stessa del pensiero e dell’azione.

La filosofia e la scienza, lungi dall’essere strumenti di dissoluzione, devono riscoprire la loro vocazione originaria: quella di individuare e percorrere sentieri critici per tornare ad essere in grado di distinguere, nel mare magnum delle interpretazioni, ciò che resiste da ciò che si dissolve nell’opinione del momento.

In un’epoca in cui il confine tra realtà e simulacro diventa sempre più labile, la questione della verità non è un lusso teoretico, ma una necessità vitale.

La sfida del nostro tempo non è quindi quella di rinunciare alla verità, ma di ripensarla come quell’orizzonte ineludibile che continua a orientare ogni autentica ricerca di senso. Solo così potremo sperare che una via d’uscita dal disorientamento che caratterizza la nostra epoca si manifesti, recuperando dunque quella dimensione critica del pensiero che sola può guidarci attraverso le nebbie della post-verità.

Aggiornato il 10 febbraio 2025 alle ore 10:48