La realtà ha una naturale pulsione all’indifferenza. In fondo sta tutto qui il senso di un qualcosa che senso (apparentemente) non ha. Lutti distanti, dinamiche distinte eppure il tutto pare legato da quel filo rosso dell’assurdo.
Fausto e Chiara si erano involontariamente congedati per l’ultima volta dai luoghi che li hanno visti crescere, vivere, amare e soffrire. Dovevano e volevano divertirsi, magari alleggerire un poco quella pesantezza che si accumula, in maniera quasi silente, durante il quotidiano ripetersi dei gesti. E poi in un attimo, in un battito di ciglia, in quel frangente infinitesimo che intercorre tra il silenzio e il tuono, la vita si dissolve. On. Off. Un soffio del destino, semplicemente. Una scarica elettrica violentissima. Una statua caduta lì, proprio lì, illogicamente lì. Maledettamente lì. Ed ecco che torniamo ad assumere la condizione di quell’Islandese che cercando risposte dalla Natura otteneva solamente un’amorevole noncuranza.
Da qui la prima frase di questa breve riflessione. Il Caos, sostenne qualcuno, è solamente lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmarsi. Ma se così fosse, perché tale divinità dovrebbe condire l’esistenza e il suo destino di tanta insensatezza?
La neve se ne frega, sostiene Ligabue, ma non è da sola a praticare tale condizione. Siamo noi ad essere soli in balia dei marosi nello spazio e nel tempo.
È un po’ come se qualcuno lassù giocasse a dadi col cielo. Pari e dispari. Ma nemmeno, perché questo vorrebbe significare un accanimento dell’Eterno. Ed invece qui, per l’appunto, si tratta solo di disinteresse. Tipo il “deus ex machina” di matrice aristotelica che emana il mondo e poi si ritaglia il ruolo di spettatore distaccato. Magari con popcorn ma privo di fazzoletti per asciugare lacrime assenti.
Ma se tanta provvisorietà lascia sgomenti, dall’altro ci offre un monito severo, un invito perentorio a cogliere e a godere quanto abbiamo ora, adesso, in questo istante che state leggendo. Ovvero tanto, tantissimo. E come una sorta di gioco eracliteo dal vuoto di una scomparsa fiorisce la consapevolezza di una presenza fragile ma tant’è. Ci siamo. Per quanto non c’è dato sapere, ma ci siamo. Dalla dura lezione di una scomparsa affiora la leggerezza che, come insegna Italo Calvino, dovremmo fare nostra ogni giorno.
Per planare sulle cose. Gustare ogni singolo istante. Esistere e nemmeno basta. Una vocazione, un progetto, un sogno, un desiderio, una passione. Qualcosa, insomma, che condisca e dia ancor più sapore a questo battere e levare che chiamiamo vita.
Aggiornato il 19 settembre 2024 alle ore 16:53