Tornano dalle vacanze anche la rubrica #Albait e le domande esistenziali.
Per rispondere, dobbiamo seguire un filo rosso che lega tanti aspetti della cronaca e della politica internazionali e interne.
In Francia, Emmanuel Macron rifiuta di nominare capo del governo la candidata proposta da France Insoumise. Fi è una formazione che segue l’eredità dell’ex partito comunista francese con l’aggiunta di una vena simile ai cinque stelle italiani. Macron non ha rapporti con questa area politica. Il rifiuto di Macron accende le fantasie di chi abbraccia la retorica: “abbiamo preso i voti, ora comandiamo”. In politica non si comanda. Inoltre, gli equilibri istituzionali tanto italiani che francesi prevedono che sia la sensibilità del Capo dello Stato a tradurre il risultato politico in equilibrio istituzionale. La Francia è una Repubblica semi presidenziale e questo elemento è forte. Macron lo utilizzerà per arrivare alle elezioni presidenziali in posizione centrale, per tentare di vincere ancora.
In Italia, la confusione istituzionale è maggiore. La presidenza del consiglio è saldamente nelle mani di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia però interpreta il ruolo in modo muscolare. In molti posti chiave ha messo persone di sua completa fiducia. La sorella guida e coordina il partito, un cognato al ministero, capo della sicurezza è il marito della propria capo segreteria e laddove può il potere viene esercitato su base di dominio personale, più possibile.
Le persone scelte sono tutte brave oltre che affidabili? Difficile crederlo. Gli strafalcioni, le lauree all’università online, le cadute di stile testimoniano una postura istituzionale discutibile e che pone problemi sul piano internazionale. Ai vertici Rai c’è addirittura un uomo di fede russofila. Giocare un ruolo forte a Bruxelles, all’Unione Europea o alla Nato in queste condizioni è difficile. Le relazioni strette con Orban, l’appoggio zoppo all’Ucraina, il voto contro Ursula von der Lyen sono elementi che non passano inosservati, specie nelle cancellerie estere. Il patriottismo italico colorato di russo, la voglia di fare, spesso di strafare, non aiutano. La retorica può diventare problema politico.
Chi vuole richiamarsi a contesti etico religiosi in un’epoca laicissima non può rivendicare coerenza. Coppie di fatto, con o senza figli sono la normalità a destra come a sinistra. Parlare di “tradizione” diventa difficile, a meno di riferirsi all’epoca delle caverne, con divinità ancora non stabilizzate. Anche se a quel tempo venivamo tutti dall’Africa ed eravamo ancora tutti pigmentati. Un problema serio per chi pretende una “tipicità” italica. Una sorta di Dop umana, come le caciotte e i formaggi di pecora, è impossibile, da noi.
Da Giorgia a Casini, da Arianna a Salvini i valori cristiani professati si spogliano di comandamenti e precetti. È un cristianesimo retorico, come retorico è anche il progressismo della sinistra italiana o europea. Molti catolicissimi a parole ma anche protoislamici. E qui altra confusione perché molte aree di sedicenti destra e sinistra sono antisraeliane, pro russe, pro Hamas e pro Iran all’estero, ma in cerca di purezza etica o fisica in casa.
La retorica è velenosa quando arriviamo a parlare di guerra.
La sofferenza della guerra ricade sulle persone, a volte chiamate “popolo”. Nel nostro inno nazionale è chiaramente descritto il legame stretto tra pace, guerra, laicità e libertà. Sostenere regimi liberticidi significa corteggiare violenza, guerra, la fine della civiltà occidentale.
Anche il Pontefice cade nella trappola della retorica. Difende la chiesa ortodossa russa dalla legge ucraina che vieta quel culto sul territorio ucraino. La scelta ucraina non persegue la fede. Persegue preti che predicano la distruzione dell’Ucraina, che sfoggiano auto di lusso, hanno rubli e armi nelle sacrestie. Il Papa cattolico ha il dovere di vedere che alcune religioni sono armi di distruzione.
Negli Usa, Kamala Harris cerca di trovare forza nella realtà delle cose. Ricorda le condanne di Trump per reati anche odiosi. Trump al contrario abbraccia la retorica comunista e anticomunista insieme. Critica la Harris per le sue ricette economiche, ma si collega ed elogia Putin e la sua esaltazione di Stalin, Kim Jong Un il leader comunista coreano, l’Iran degli ayatollah. Il tutto mentre Putin rivendica la guerra come valore fondante e vitale della Russia. Basta questo a rendere Putin un nemico per sua scelta, specie dell’America. Ma Trump fa un uso della retorica spregiudicato. E si trova bene a sostenere posizioni favorevoli ai terroristi del mondo.
I fatti senza interpretazione non esistono.
È anche vero che la retorica, accompagnata dai bombardamenti della guerra asimmetrica russa, inquina le nostre conoscenze. Tanto forte è questo inquinamento bellico delle informazioni che nasce persino il sospetto che interi organi di stampa possano essere corrotti.
Il fardello passa al lettore. Come si fa ad avere una capacità interpretativa “robusta”?
Semplice: bisogna definire il nostro valore fondante che anima la nostra civiltà. Esso è la libertà. Goffredo Mameli, come Il manifesto rivoluzionario francese parlano di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. La libertà è al primo posto. In tutte le costituzioni europee la libertà è il valore di base. La democrazia è il modo per rendere effettiva la libertà. Chi critica democrazia e libertà fa parte del male e va combattuto. È il nostro rasoio di Occam.
Nella nuova stagione di #Albait continueremo a cercare di irrobustire la cultura della libertà. Qui intendiamo sciogliere la complessità dell’analisi e renderla semplice.
Aggiornato il 30 agosto 2024 alle ore 15:29