L’esercito del part-time “involontario”

Nel nostro Paese più della metà dei 4 milioni e 203mila lavoratori e lavoratrici part-time rilevati dall’Istat nel 2022, ossia il 56,2 per cento, non avrebbe scelto questa forma contrattuale, bensì l’avrebbe accettata o anche subita (per necessità oppure per l’assenza di altre possibilità). In poche parole, siamo davanti alla condizione di un part-time involontario. A riferirlo è il report del Forum disuguaglianze e diversità. Le più colpite, secondo i dati, sono le donne: il 16,5 per cento di quelle occupate rispetto al 5,6 per cento degli uomini.

Il senatore di Fratelli d’Italia, Nicola Calandrini, presidente della commissione Bilancio, osserva: “Oltre la metà dei lavoratori part-time in Italia non ha scelto questa forma contrattuale. Un dato da attenzionare, quello che emerge dal report del Forum disuguaglianze e diversità, che al contempo – insiste – permette di fare alcune riflessioni: gli ultimi dati Istat hanno evidenziato un tasso di occupazione al 62,1 per cento a marzo, con un aumento di 425mila unità rispetto all’anno precedente, sia di lavoratori dipendenti che di autonomi. Un risultato storico, che ha segnato un nuovo record”.

Sempre Calandrini: “Il Governo sta lavorando senza sosta, per garantire redditi adeguati, in modo tale da rispondere alle esigenze delle famiglie: lo stiamo facendo, per esempio, con il taglio del cuneo contributivo, sulla base delle risorse disponibili, per aiutare chi percepisce uno stipendio più basso. Vogliamo continuare a investire – termina – proseguendo con i decreti attuativi alla riforma fiscale e puntando sulla Zona economica speciale del Mezzogiorno, per rendere il Sud Italia ancora più attrattivo e per creare nuovi posti di lavoro stabili. Il lavoro part-time deve essere una scelta, non un obbligo”.

“Ormai è noto che sempre più lavoro è precario e mal retribuito, e non è sufficiente a uscire da una condizione di povertà. In questo quadro, anche il part-time da strumento di conciliazione di vita e di lavoro rischia di diventare uno strumento di ulteriore precarizzazione, soprattutto quando viene imposto e non è una scelta del lavoratore e in particolare della lavoratrice”, è il pensiero di Fabrizio Barca e Andrea Morniroli, co-coordinatori del Forum disuguaglianze e diversità. Tra le persone impiegate in professioni non qualificate emerge il differenziale maggiore per il part-time involontario: 38,3 per cento per le donne rispetto al 14,2 per cento gli uomini. Un fenomeno, peraltro, più frequente tra le giovani donne: ossia il 21 per cento delle occupate di 15-34 anni rispetto al 14 per cento di quelle di 55 anni e oltre. Gli stessi dati indicano, infine, che il part-time involontario è più frequente anche al Sud, tra le persone straniere, tra chi possiede un basso titolo di studio e tra chi ha un impiego a tempo determinato: 23 per cento contro il 9 per cento del tempo indeterminato, e il 7 per cento degli e delle indipendenti.

Aggiornato il 06 maggio 2024 alle ore 15:40