I redattori di “Repubblica” sfiduciano il direttore Molinari

Profonda frattura tra redazione e direzione del quotidiano La Repubblica, fondato da Eugenio Scalfari con la scelta di campo “liberal-progressista”. Era il 14 gennaio 1976 quando la prima copia apparve in edicola realizzata da un corpo di circa 400 giornalisti tra Roma, Milano, Torino, Bologna, Genova, Firenze, Napoli, Palermo e Bari. “Barbapapà” si vantava di aver raccolto il meglio dei giornalisti democratici che erano sulla piazza, attirati dalla novità e anche dalle retribuzioni che Paese Sera, l’Unità, il manifesto non erano in grado di assicurare. Dopo Scalfari la direzione nel 1996 è passata sotto la guida di Ezio Mauro e dopo altri 20 anni a Mario Calabresi, Carlo Verdelli e nell’aprile del 2020 a Maurizio Molinari che proveniva dalla Stampa. Quando il Gruppo Cir Carlo De Benedetti venne venduto a Exor del nipote dell’Avvocato Agnelli la nomina dei nuovi direttori Maurizio Molinari a Repubblica, di Massimo Giannini e poi Andrea Malaguti alla Stampa e la cessione del settimanale L’Espresso al napoletano Danilo Jervolino, è apparso chiaro che il gruppo editoriale avrebbe cambiato volto.

Il braccio di ferro sulla linea editoriale ha più volte messo in difficoltà Molinari ma l’apice del contrasto è arrivato a metà dello scorso dicembre, quando l’assemblea dei redattori aveva deliberato 5 giorni di sciopero accusando la direzione e la proprietà di aver “allontanato il gruppo dalla propria identità e cultura”, in pratica non era gradita una linea editoriale considerata filo-israeliana. Il peggio doveva venire nei primi giorni di aprile a seguito di un articolo dell’inserto economico Affari & Finanza considerato sgradito sui rapporti industriali Italia-Francia. L’apertura firmata da Giovanni Pons sui legami di politica industriale è stato sostituito con una nota del vicedirettore Walter Galbiati durante la notte, mandando al macero ben 100mila copie già stampate. In un clima di alta tensione, il Comitato di redazione (composto da Luca Pagni, Zita Dazzi, Matteo Pucciarelli, Alessandra Ziniti e Francesca Savino) indiceva un’assemblea straordinaria nel corso della quale sono state espresse aspre critiche. La conseguenza è stata la presentazione di una mozione di sfiducia. L’esito del voto ha sancito la frattura. A favore della sfiducia hanno votato 164 giornaliste e giornalisti, contro 55 e 35 si sono astenuti.

La linea Molinari è stata bocciata anche se il direttore resterà in carica avendo la fiducia della proprietà. Secondo il Cdr negli ultimi tempi si sono registrati troppi episodi che “hanno minato la credibilità della testata”. Ci sono stati altri casi di direttori sfiduciati e rimasti in carica. Lo furono in Rai Bruno Vespa e Nuccio Fava, tre al Sole 24 ore e cioè Gianni Riotta, Roberto Napoletano (poi assolto dalle accuse), Fabio Tamburini. La vicenda delle due aperture dell’inserto economico Affari & Finanza è stata considerata una grave lesione dell’autonomia di ogni singolo giornalista di Repubblica che mette in discussione, in futuro, il valore del lavoro delle redazioni. Dimostra anche una carente organizzazione che espone ad “arbitrarietà incontrollata”, in un momento in cui il piano di ulteriori prepensionamenti indeboliscono i controlli e le verifiche di quello che viene pubblicato. Le giornaliste e i giornalisti si sentono come in una “nave abbandonata che affonda” e questo stato di cose è stato evidenziato nel dossier sullo smantellamento della Gedi con le cessioni di testate prestigiose come Il Tirreno, il Messaggero veneto, Il Piccolo di Trieste, le Gazzette di Modena e Parma, La Nuova Ferrara, il ligure Secolo XIX.

Aggiornato il 11 aprile 2024 alle ore 12:51