Non è il tempo dell’Uno

L’opinione, la concezione che l’umanità potrebbe, dovrebbe affratellarsi e ciascun soggetto accrescersi nella relazione con altri individui, una umanità nutrita di umanità furono e restano idealismi di personalità da stimare per lo slancio che le fiammeggia. Che esiste di più approvabile del gioire dell’altrui gioia, prendere e dare vita, accrescere e accrescersi: io sono felice se tu sei felice, mi innalzo per innalzarti, la mia crescita è avvinta alla tua. Altre personalità sono meno certe o persino dubbiosissime di tanta collateralità di accrescimento. Vi sarebbe in noi volontà di espandersi non con l’altro ma sull’altro, il mio potere sta nel dominarti, e anche: l’espansione dell’io comprime l’io altrui, quindi mi limito per non comprimerlo. Addirittura: se volessi espandermi interamente dovrei schiacciare il mio prossimo che a sua volta intende espandersi. Nella società, lo stare insieme è un accomodamento rinunciatario a porzioni espansive dell’individuo. Secondo il più realistico scrutatore di questa fenomenologia, gli uomini per compensare il sacrificio della rinuncia all’espansione totale hanno suscitato un’espansione vitale indiretta: l’arte, la conoscenza, l’individuo appaga la sua vitalità studiando, esprimendo. Per dire, hai tendenze sadiche e diventi chirurgo. Così, l’onesto Sigmund Freud.

Il rischio, terribilissimo, della mancanza di scopi di sfogo della vitalità proviene dal non mantenere scopi sostitutivi ma volere a ogni costo espandersi sull’altro, avverso l’altro. La guerra, insomma. Che è la guerra? Il modo per fare uscire da sé stessi la volontà espansiva in forma diretta, senza alternativa di scopi che la compensino. O guerra o niente, o guerra o sconfitta, mi sento sconfitto se non faccio la guerra, l’altro è solo e sempre un inciampo che devo togliere dall’esistenza, io esisto se non esiste l’altro. La convinzione che non vi sia posto per il Due, il Tre, il Cinque ma esclusivamente per l’Uno più che irrealizzabile, è mortale anche per l’Uno. La distruttività ha di orrendo che distrugge anche chi vuol distruggere. La “mente” individuale e sociale, almeno per Sigmund Freud, non differisce, insiste nell’ossessività distruttiva (la guerra) e volge conoscenza, economia, determinazione alla guerra, all’affermazione totalizzante dell’Uno.

Questa aspirazione all’Uno ha del morboso: elimina la vita, non faremmo che pensare a uccidere, vantare i morti, inorgoglirci della creazione di mezzi portentosi per annientare l’altro. Di solito si proclama: devo difendermi dall’altro. Appunto; è la logica del nemico. Se io credo l’altro solo e soltanto nemico vi sarebbe la guerra continua. Si aggiunge: ma spesso l’altro vuole effettivamente distruggermi, che fare se sono aggredito? Se vieni aggredito devi difenderti, ma non trasformare a tua volta la difesa in distruzione, in una teorizzazione dell’altro come nemico assoluto, eterno. Bisogna reagire, tutelarsi ma non diventare paladini della guerra. Il danno massimo che l’aggressore cagiona è di rendere l’aggredito a sua volta aggressivissimo. Si perviene a una circolarità dell’annientamento. Tu usi il coltello, io uso la spada, tu usi il fucile, io uso la mitraglia, tu usi la mitraglia, io uso il cannone, e via. Non si tratta di eliminare la difesa e la risposta, si tratta di impedire la filosofia della guerra senza vertici, anzi verticale, vertiginosa. Questa logica non ha un punto limite o lo raggiunge nella conversione della nostra mente soltanto alla distruzione. Ovviamente, quanto detto vale per tutti. Nessuno deve, dovrebbe, concepire un limite al conflitto come sconfitta.

Per una ragione semplicissima: avremmo una sconfitta universale. Infatti: se non poniamo un limite, quale è il limite insuperabile? La distruzione totale. La voglia del dominio dell’Uno è oggi irrealizzabile o realizzabile con la distruzione totale. Invece, dovremmo fare quel che facciamo all’interno di ogni società, limitiamo porzioni di aggressività. E se qualcuno mi aggredisce? Difenditi ma non voler stabilire il Principato dell’Uno. E se l’altro insiste? Ascoltami, non esagerare di essere aggredito per giustificare la tua aggressione. Negheresti che esistono Paesi, concezioni nettamente aggressivi? Assolutamente, no. Esistono. Nego però che distruttivo sia soltanto e sempre l’altro! Vale per tutti la possibilità distruttiva.

Storicizziamo, concretizziamo queste argomentazioni concettuali. La fine del XX secolo e l’inizio del nostro secolo hanno caratteristiche evolutive manifeste: popoli di antichissima civiltà, decaduti, rinascono, Cina e India in specie, e pure la Russia si rinnova e nazioni di minore entità ma che intendono disobbedire al dominio unilaterale esterno. Esplicitamente, gli Stati Uniti, con l’Europa, hanno difficoltà a imporsi mondialmente, addirittura, non sono in grado di assegnare i modi comportamentali al mondo. Valga l’esemplare teatrale delle sanzioni. Che rappresentano? La capacità di imporre comportamenti.

Mai scopo fu meno ottenuto, anzi se ne ottiene di contrari e dannosi, gli altri si uniscono, scambiano, si favoriscono, e quanto maggiormente sanzioniamo massimamente si favoriscono e suscitano rimedi. Allora, si vagheggia una strategia avanzata. Se falliscono le sanzioni sarà il caso di far guerra? Armiamo gli amici contro i nemici. Ma anche questa misura fallisce, sembra fallire. Non resta che dichiarare guerra. Ma guerra con dei limiti o accada quel accade? Vi è un errore decisivo in questo paradigma: la convinzione che una parte del mondo riesca a controllare l’andamento del mondo. Chiunque ritiene tale scopo raggiungibile non soltanto vaneggia ma suscita alleanze di tutela negli altri, coalizioni, vie di scampo, sicché, al dunque, si perviene a risultati avversi. L’Altro esiste, si è propagato, non consente dominio esterno, l’Altro è la Cina, l’altro è la Russia, l’altro è l’India, l’altro sono gli Stati Uniti, l’altro è l’Unione europea, l’altro è Israele, i palestinesi, l’Iran, insomma oggi l’Altro non ammette sudditanza dall’esterno, vi è un pianeta polimorfo, siamo nel bivio radicale: o rinunciamo al proposito dell’Uno sugli Altri o suscitiamo la guerra definitiva. E sia chiaro, rinunciare all’imperio dell’Uno non significa subire, l’opposto: vivere e convivere.

Come avviene all’interno delle società. E se qualcuno vuole prevalere sugli altri? Reagire ma senza pretendere di controllare il mondo da parte dell’uno, chiunque sia. E con proporzionalità. Comprendere che non siamo nell’epoca del dominio unilaterale invasivo è determinante per il futuro della sopravvivenza. Oltretutto per un motivo banalissimo: sarebbe uno scopo irraggiungibile. E se qualcuno mi aggredisce? Combatti ma non cercare di dominare il mondo. Coalizzeresti il mondo contro di te, e i rami degli altri Paesi sarebbero tanti e tali che li potresti controllare solo con la distruzione universale. Ormai chi vuole dominare il mondo è dominato dal mondo che non vuole farsi dominare. Ad impossibilia nemo tenetur, è stato detto con altri fini, ma vale anche per quanto sostengo: non tentare scopi impossibili, ti si rivoltano contro. Il dominio di Uno è impossibile e si capovolge, impaurisce e il mondo avversa chi vuole dominarlo o sproposita in reazione. Chiunque sia.

Aggiornato il 23 marzo 2024 alle ore 13:53