La sindrome di Stoccolma del cittadino

C’è una verità lapalissiana che domina la nostra vita, ma della quale, in Italia, il Paese al contrario, si tace sempre.

Politici italiani, di Stato, di Regione, di Provincia o di Comune, Magistratura, burocrati e funzionari dei Ministeri, degli assessorati, delle authorities, delle partecipate, vigili urbani e forze di polizia, militari, pensionati d’oro, parlamentari e boiardi di Stato, con vitalizio, medici negli ospedali e operatori ecologici, società appaltanti allo Stato, agenti delle entrate, finanche guardiani dei cimiteri, professori universitari e di liceo, maestri elementari, ma naturalmente anche le quattro maggiori cariche della Repubblica italiana, senza parlare di cantanti, presentatori, ballerine, comici e capocomici del baraccone Rai e di quello di Sanremo, tutti costoro sono spesati dai contribuenti. Non solo.

Anche i funzionari dell’Unione europea e della Commissione, che è il nuovo Politburo, gli organismi internazionali come l’Ocse e l’Onu, l’Oms e l’organismo per i rifugiati, sono tutti pagati dalla fiscalità degli Stati, e dall’Italia, con una sostanziosa quota parte.

Tutti questi individui appartenenti alla categoria del settore pubblico, nazionale e internazionale, hanno pertanto in comune una cosa fondamentale: portano avanti la loro esistenza, fisica e spirituale, grazie a uno stipendio – spesso spropositato – che proviene dai soldi delle tasse che sono sottratte ai nostri corpi-soggetto, dopo essere state prodotte dal nostro lavoro.

Ancora, durante la pandemia, che ha visto decine di miliardi di euro affluire nelle tasche di società farmaceutiche e società finanziarie che di queste erano proprietarie, la fiscalità generale ha spesato anche poche decine di supermiliardari internazionali, che fanno a pieno titolo parte degli impersonali. Qualcuno dirà che questo è stato un momento specifico che difficilmente si potrà ripetere, eppure l’aprire due fronti di guerra che assorbono aiuti internazionali, e acquisti di armi, senza precedenti, non fa che spingere sullo stesso tasto: i molti, che ricchi non sono si impoveriscono, finanziando i pochi che hanno già quasi tutto, arricchendoli. Circa tre miliardi di euro – sembra – ci vorranno per ridotare l’Italia degli equipaggiamenti ceduti all’Ucraina.

L’elite – detto in una sola frase – è pagata dal contribuente.

Il corollario di questo è che, descrivendo quella che è davvero una sindrome di Stoccolma, il vessatore è pagato con il lavoro della persona che ha sottomesso, trasformato in schiavo postmoderno. È una verità ovvia e scontata, che viene dimenticata troppo spesso quando si parla di Potere e di rappresentanti del popolo.

Una seconda verità è che coloro che versano i fondi necessari a pagare questi stipendi ed emolumenti non hanno alcuna voce in capitolo sul quantitativo dei compensi. Inoltre, gli adeguamenti che nel tempo vengono fatti a tali quantitativi, non seguono alcun criterio di economicità, non hanno alcun ancoraggio alla realtà o all’andamento dell’economia, e, in particolare, vengono per la grande parte decisi autonomamente, istituzione per istituzione, dagli stessi beneficiari. 

È come se l’amministratore di un condominio si aumenti da solo, in continuazione, il suo compenso e lo allarghi nel tempo a suoi consulenti, ad amici e a conoscenti, senza chiedere ai condomini il consenso. Senza nemmeno accertarsi che i condomini abbiano il denaro necessario si suoi crescenti compensi. Non solo. Qualora i condomini non paghino, l’amministratore assume il diritto di espropriare quei condomini inadempienti.

Questo potere di prendere decisioni autonome riguardo ai propri comparti di riferimento appartiene a gran parte delle dirigenze dei singoli organi di Stato. Un esempio calzante è il Parlamento: organismi di Camera e Senato decidono autonomamente. Così anche la Presidenza del Consiglio.

L’epitome di questo scenario fu una decisione di ancorare il tetto dei dirigenti a quanto percepito dal presidente della Repubblica, decisione che regole, leggine, codici e codicilli hanno poi regolarmente aggirato, facendo riprecipitare le cose in una situazione ancora peggiore che la Corte dei Conti non ha mai saputo arginare.   

Via via, invece, che si scende nella retribuzione di questi stipendi, la controparte dei decisori si è messa nelle mani di una istituzione obsoleta e rapace: il sindacato, che lontano dall’intervenire laddove potrebbe – ad esempio sugli stipendi più alti, per invocarne la non equità – finisce con il taglieggiare l’ultimo dei dipendenti pubblici, senza saper ingaggiare a suo favore alcun adeguamento stipendiale che possa competere sugli adeguamenti spettanti alle sfere dirigenziali, ma adeguando i propri emolumenti annualmente, raggiungendo lo stesso livello dei dirigenti.

Prima che scoppiasse la guerra d’indipendenza americana, che portò alla Costituzione del 1776, il messaggio che il popolo americano lanciò alla dominazione inglese era sostenuto da un chiarissimo “No taxation without representation”: non si possono chiedere tasse a chi è dominato e non può far sentire la propria voce dal punto di vista politico e dunque decisionale per la comunità.

I corpi-soggetto – specie i più produttivi e i più creativi, quelli che si spezzano la schiena, lavorando per tutti coloro che sono da loro sono spesati –  devono oggi, in Italia, pretendere che alcuni principi vengano rispettati, seguendo a cascata quel grido americano del XVIII secolo.

Non si può più accettare una simile sottrazione di risorse preziose all’individuo, senza che tra i soggetti decisori ci siano soggetti che, dopo essere stati eletti dall’interezza del corpo elettorale, ad esso non debbano pienamente rispondere, anche durante il loro mandato.

In Italia il cosiddetto sistema di “check and balances” – quel circuito che impedirebbe a chi è potente di approfittarsi del proprio ruolo, e di diventarlo ancora di più, a spese dei rappresentati e della cittadinanza –  si è infatti completamente inceppato ed occorre ripristinarlo.

I costituenti italiani, dopo la guerra, proibirono che la fiscalità fosse oggetto di referendum. Allo stesso modo, impedirono che sui trattati internazionali il singolo cittadino potesse rivendicare un controllo. Fisco e alleanze internazionali sono le due materie-chiave del dominio che il Giano bifronte, questo connubio fatale tra Stato e Finanza internazionale, esercita sulla nostra libertà.

Altre decisioni hanno reso ancora più pronunciato questo dominio: l’eliminazione delle preferenze nel momento della elezione dei rappresentanti, la creazione di corpi di potere locale intermedi, l’allargamento delle leggi e delle istituzioni europee e il loro prevalere sulle leggi nazionali, la non elezione diretta del presidente della Repubblica, figura irresponsabile che ha tenuto lontano dalle stanze del governo i soggetti più scomodi per il Potere, per ultimo l’economista Paolo Savona che aveva previsto “il  cigno nero” dell’economia, rivelatasi poi essere la pandemia.

Il messaggio, oggi che la rappresentanza politica, in Europa, ha finito con il perdere la sua garanzia di controllo, dovrebbe quindi essere del tenore “No taxation, without full control of the expense”. Ciò, in quanto, in Italia e in Europa, nessuna opposizione garantisce di poter vigilare completamente sul “come” la spesa pubblica sia portata avanti e realizzata. Inoltre, esistono capitoli di spesa automatici, completamente sottratti al controllo della classe politica.

Non solo, ma la Corte dei Conti non è mai stata, in questi ultimi anni, una garanzia della bontà della spesa. Si ricordano, almeno con stupore, se non con angoscia, le relazioni finali dei suoi presidenti che denunciavano il costo della corruzione amministrativa (sempre stimata intorno ai 60-70 miliardi di euro annui) senza accompagnare questa relazione con le attribuzioni di responsabilità di tale corruzione pubblica. Mai. Come dire: si dice il peccato ma non si dice il peccatore.

In assenza che anche il nostro Paese si doti del cosiddetto “spoil system”, che al cambio dei governi, assicura che la spesa possa da subito venire amministrata da chi vince le elezioni, intanto occorrerebbe adottare alcune nuove regole, di emergenza. 

Se le spese legate all’amministrazione ordinaria dello Stato – adottate in precedenza –possono continuare ad essere appannaggio della Corte dei Conti, il controllo delle spese decise ex novo da ogni nuovo Parlamento (come ad esempio dirante la pandemia, fu per i vaccini, per i medici vaccinatori, per i fondi da versare ai media, come fecero il Governo Conte e dal Governo Draghi, per premiare la fedeltà alla linea intrapresa nella gestione pandemica, l’acquisto dei banchi a rotelle, dei monopattini, e quant’altro) dovrebbero essere considerate spese eccezionali, il cui controllo non può essere riservato a organi permanenti (quelli della magistratura ordinaria).

Occorre stabilire degli organismi di controllo elettivi, che come l’ombudsman scandinavo, o il tribuno della Plebe romano, agiscano per nome e per conto del contribuente/elettore. Se non si riuscisse a operare durante le decisioni di emergenza, si tratterebbe di avere, almeno, dei revisori dei conti, eletti insieme alla classe politica, che, a nome della cittadinanza, supervisionino l’operato politico di chi ha sperperato – poiché di questo si tratta – miliardi di spesa pubblica. Un intervento del genere, che facesse comprendere che esiste una responsabilità politico-amministrativa, scoraggerebbe sempre un ricorso alla spesa pubblica in eccesso.

Nel frattempo, occorre che – nella smania telematica che consente allo Stato di buttare dalla finestra miliardi di imposte in sistemi informatici, in hardware e software – venga realizzata una Agenzia delle Uscite, che ha il compito di raccogliere e filtrare in un sistema uniforme, tutte le informazioni sulle spese erogate ogni giorno da ogni organo dello Stato, incluse le società partecipate, e di ribaltarle in maniera trasparente in un sito web accessibile, inserendo il proprio codice fiscale, da parte di ogni contribuente.

Il ripristino delle preferenze, che sottrarrebbe alle segreterie di Partito la scelta di candidati da eleggere è forse una delle prime riforme da mettere in atto, in quanto la sua soppressione fu voluta da un Silvio Berlusconi che pretendeva fedeltà, dopo il conflitto con l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini. La cancellazione delle preferenze diede ai partiti il potere di “telecomandare” gli eletti. Senza ripristino delle preferenze non si può credere che la deriva “statalista” italiana venga bloccata.

Per continuare nella necessaria operazione riformista, non si può trascurare, naturalmente, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, cavallo di battaglia della destra, sin dall’epoca di Giorgio Almirante, ripresa poi da Silvio Berlusconi, a cui andrebbe aggiunta l’elezione diretta delle donne e degli uomini della Commissione europea, che dovrebbero presentarsi come una squadra da eleggere direttamente e non da selezionare e nominare accuratamente da parte dell’elite, ma solo dopo le elezioni.

Infine, un capitolo a parte, sarebbe la revisione della spesa fatta di erogazioni agli organismi internazionali e sovranazionali, tra i quali campeggia il sistema dell’Onu ˗ tra i quali va annoverata un’Organizzazione Mondiale della Sanità che dà oramai prova di dubbia scientificità sanitaria ˗ senza dimenticare quei fondi devoluti a organizzazioni non governative.

Perché è senz’altro vero che l’articolo 117, rivisto in Costituzione sancisce una sudditanza italiana a questi organismi, ma gli impegni di spesa relativa al finanziamento di essi, e l’utilizzo finale di questi fondi, non possono non richiedere un nuovo modello di controllo. Questo cambiamento consentirebbe di fare, in tempo reale, una stretta revisione che consideri, senza mai posa, la congruità della spesa internazionale alle condizioni esistenti in Europa e, pertanto di valutare l’opportunità di continuarli o sospenderli.

Tutte queste misure andrebbero prese al netto di quelle riforme costituzionali che dovrebbero inserire un tetto alla spesa pubblica, rispetto al Pil, un tetto al ricorso al debito pubblico cui ricorrere, e altre misure a garanzia del contribuente/erogatore di stipendio, vessato ma innamorato del suo stesso aguzzino.

Aggiornato il 13 febbraio 2024 alle ore 12:28