L’algoritmo

Negli ultimi mesi le tariffe dei voli aerei sul territorio nazionale, soprattutto relativi ai collegamenti con le isole, sono saliti vertiginosamente. Le compagnie aeree si sono avvalse di procedure automatizzate che, profilando il momento e il modo della prenotazione con altri dati relativi all’utente, determinano l’innalzamento del prezzo di viaggio di multipli percentuali anche maggiori del 200 per cento alla tariffa media del volo. Per limitare l’abuso il governo ha emesso in prossimità della Festa dell’Assunta un decreto legge dal titolo “Pratiche commerciali scorrette relative ai prezzi praticati sui voli nazionali”. Il decreto vieta la fissazione dinamica dei prezzi da parte delle compagnie al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni: a) che sia applicata su rotte nazionali di collegamento con le isole; b) che avvenga durante un picco di domanda legata alla stagionalità o in concomitanza di uno stato di emergenza nazionale; c) che conduca a un prezzo di vendita del biglietto di viaggio o dei servizi accessori del 200 per cento superiore alla tariffa media del volo. Il provvedimento risponde a principi irrinunciabili di giustizia nei rapporti contrattuali di compravendita.  A causa dei rischi di annullamento del provvedimento rinvenienti dalle istanze europee previste per la tutela della concorrenza e della libertà del mercato di fissare i prezzi, l’applicazione del decreto è assai limitata, concernendo soltanto i prezzi relativi alle rotte nazionali di collegamento con le isole.

Il provvedimento, tuttavia, è un segno concreto di politica sociale in risposta al grave problema della prepotenza mercatale dei contraenti forti. Non avrei scritto questa breve nota se non avessi letto le dichiarazioni dell’amministratore delegato delle compagnie associate in Airlines for Europe (A4E), tra cui Lufthansa, Air France, Easyjet, Ryanair. L’esponente delle compagnie ha dichiarato che limitare le tariffe su queste rotte viola i diritti delle compagnie aeree “di competere ove possibile, fissare i prezzi e definire i servizi come meglio credono. Ryanair, in particolare, ha descritto i piani dell’Italia come “illegali ai sensi del diritto dell’Ue”, perché essi avrebbero “conseguenze indesiderate” per le compagnie aeree, riducendo il numero di voli e passeggeri. La tesi è stravagante, se non fosse supportata dall’ideologia mercatista più spinta, secondo la quale la giustizia sociale, che avanza pretese in tema di lealtà, correttezza ed equità, costituirebbe una superstizione che minaccia i valori di una civiltà autenticamente liberale. Le dichiarazioni degli amministratori delle compagnie meritano una decisa confutazione. In primo luogo esse non tengono conto delle coordinate giuridiche essenziali in cui si svolge la loro attività economica, che non è il Far West ottocentesco americano, ma la Repubblica italiana munita di un solido impianto costituzionale.

L’articolo 41 della Costituzione, proclamando al comma 1 che l’iniziativa economica privata è libera, statuisce ai commi 2 e 3 i principi irrinunciabili secondo cui l’attività economica privata: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale…” e secondo cui: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. La libertà di circolazione delle persone nel territorio nazionale, come diritto primario dell’uomo (articolo 16 della Costituzione) non può essere limitata arbitrariamente delle compagnie aeree impedendo alla grandissima parte dei cittadini – di fatto – l’uso del mezzo aereo, per l’esosità del prezzo praticato. La libertà di circolazione è funzionale non soltanto alle attività turistiche o di ricreazione, ma soprattutto allo svolgimento delle attività lavorative, al mantenimento dei rapporti familiari e sociali, alle esigenze di cura della salute. Si tratta di beni-fini rispetto a cui la libertà di circolazione esercita un ruolo funzionale: tale libertà, pertanto, deve essere garantita dallo Stato, che legittimamente, in caso di necessità, deve porre limiti e disporre controlli sull’attività economica pubblica e privata al fine di evitare lesioni ai diritti fondamentali.

È noto che la disciplina Ue è imperniata sulla tutela quasi illimitata della libera concorrenza e, quindi, sulla libertà del mercato di stabilire prezzi e condizioni di vendita dei beni e dei servizi in base all’incontro della domanda e dell’offerta. Questo principio è soccombente – nonostante il primato della normativa europea sulla fonte nazionale – rispetto all’interesse costituzionale a che l’attività economica non sia praticata ai danni dell’interesse sociale e delle essenziali regole di giustizia. Alla giustizia costituzionalmente intesa non può non ripugnare che la grandissima parte dei cittadini non possa usare il mezzo aereo per ragioni di carattere economico, siccome impedita di acquistare il biglietto del viaggio per l’esosità del prezzo. Si pensi, tra gli innumerevoli casi ipotizzabili, alla situazione di due anziani pensionati di Sassari che hanno l’urgenza di una visita medica a Milano e che, per la profilazione automatica del prezzo del viaggio, dovrebbero spendere ciascuno l’equivalente dell’importo di due mesi di pensione per raggiungere la meta e tornare a casa! In secondo luogo spetta alla legge dello Stato la preservazione concreta di un quoziente almeno minimale di giustizia commutativa nel contratto. Il principio costituzionale di copertura della giustizia negli scambi è desumibile dagli articoli 2 e 3 della Costituzione.

Il primo riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni in cui si svolge la sua personalità e, al contempo, richiede a ciascuno l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L’articolo 3, inoltre, riconosce a tutti i cittadini pari dignità sociale e garantisce a tutti l’uguaglianza davanti alla legge, senza distinzione, tra l’altro, di condizioni personali e sociali. Il farmacista giusto vende il farmaco a chi, avendone urgente bisogno, sia nell’impossibilità di procurarselo altrimenti, al prezzo corrente, cioè al medesimo prezzo che avrebbe praticato nei confronti di chi avesse meno urgenza del medicinale e maggiori possibilità di procurarselo altrove. Il conflitto nel contratto degli interessi contrapposti determinerebbe, se non sussistesse un limite posto dal principio di giustizia, che le leggi positive cercano di determinare con la maggiore precisione possibile, la prevaricazione del contraente forte su quello debole. Se le due forze contrattuali fossero lasciate libere di agire in forza del loro rispettivo peso, il punto di incontro del contratto si troverebbe sempre in un punto prossimo all’origine della forza dominante. Ciò non accade se il contrente più forte si conduca secondo giustizia, rispettando i limiti prefissati dalle leggi, dalle consuetudini, dall’oggettivo valore delle prestazioni correlative.

Certo, non vi è un prezzo Ne varietur “giusto” di una prestazione. Innumerevoli circostanze di fatto influiscono sulla determinazione del suo valore. Né l’autorità pubblica può intromettersi autoritativamente, in assenza di circostanze eccezionali, di fissare il prezzo “giusto”, anche se può contribuire a individuarlo tramite la pubblicazione di determinati indici statistici, avvalendosi degli organismi pubblici e privati che rappresentano le varie categorie sociali. Il divieto etico-giuridico di dispiegare tutta la propria forza contrattuale schiacciando la parte più debole del rapporto si fonda sul riconoscimento dell’altro come uguale a se stesso. Pur nella relazione contrattuale, in cui sono estranee le ragioni di carattere solidaristico dell’amicizia, non deve venir meno, tramite il criterio regolatore della giustizia, il rispetto dell’altro, in quanto uomo. Nell’uomo è presente il valore che costituisce il fondamento stesso di qualsivoglia relazione economica tra persone, anche di natura economica. L’affinità etimologica delle parole – aequitas et aequalitas; giustizia e uguaglianza – manifesta che la giustizia implica l’uguaglianza. Aequitas et aequalitas sono connaturate.

Il contratto squilibrato a vantaggio della parte più forte nega la pari dignità dell’altro contraente e approfondisce la disuguaglianza di fatto esistente tra loro. La relazione contrattuale non è fatta per impoverire, bensì per arricchire entrambi i contraenti! L’approfittatore ottiene non soltanto più del giusto, ma, prima ancora e soprattutto, svilisce in radice la naturale uguaglianza degli uomini tra loro, pur nella diversità delle loro condizioni economiche e sociali. Il contratto postula due requisiti: l’uno formale, l’altro sostanziale. Il requisito formale è il titolo che garantisce la pretesa di ottenere l’oggetto dell’accordo; il requisito sostanziale è l’equivalenza delle prestazioni, che vieta l’indebito arricchimento di una parte tramite lo sfruttamento della condizione di debolezza nella quale versa l’altra parte. La ricorrenza congiunta di entrambi i requisiti produce effetti benefici per l’intero corpo sociale, in quanto contribuisce a creare la concordia nella comunità in cui il rapporto si svolge. Lo scambio ingiusto mina, invece, le basi stesse della convivenza sociale perché misconosce l’altrui dignità come pari alla propria. Infatti, l’approfittatore nel contratto trae l’indebito proprio in ragione della necessità altrui, cioè della relazione stessa di dipendenza reciproca in virtù della quale esiste la società.

L’abuso del contratto porta un attentato al cuore della società, cioè al vincolo di convivenza civile e alla concordia che sono il sostentamento e l’anima della vita in comune. L’usura non appartiene soltanto al perimetro del contratto di mutuo, bensì a qualsivoglia relazione contrattuale di scambio. Consiste nella violazione del principio della reciprocità degli scambi, che si pone in costante rapporto dialettico con il principio della vincolatività dell’obbligazione assunta tramite la libera manifestazione della volontà di scambio: quest’ultimo principio – il dogma della volontà nel contratto – si accompagna dialetticamente con il principio equitativo delle corrispettività delle prestazioni. Scrive Annalisa Boido: “L’istanza della reciprocità degli scambi e il dogma per cui Pacta sunt servanda guardano al contratto da due differenti prospettive, che necessitano di una integrazione reciproca: il che significa, in una certa misura, una limitazione correlativa, il cui punto di equilibrio può spostarsi in favore dell’una o dell’altro, a seconda dei momenti storici e delle culture predominanti. Certo è che la sola considerazione dell’un principio a scapito totale dell’altro rivela una grave disarmonia nelle relazioni giuridiche, o troppo instabili per il venir meno della vincolatività dell’accordo autonomamente statuito dalle parti, ovvero troppo rigide e oppressive per l’oblio della sostanziale disuguaglianza di soggetti pur formalmente uguali”.

Il punto di rottura dell’equilibrio tra i due principi essenziali per la validità del contratto avviene quando si verifichi l’evento, previsto in modo generale nel codice civile e in modo specifico per l’usura finanziaria nel codice penale (rispettivamente articolo 1448 del Codice civile: azione generale di rescissione per lesione e articolo 644 del Codice penale: usura) della sproporzione della prestazione di una parte e quella dell’altra, quando tale sproporzione “è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio” (articolo 1448 del Codice civile comma 1). La rilevanza giuridica della sproporzione avviene quando “la lesione eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto (articolo 1448 del Codice civile, comma 2). L’accertamento della lesione dipende dalla possibilità di determinare con una certa dose di certezza il valore delle prestazioni corrispettive. La difficoltà di accertamento di tale circostanza spiega l’applicazione non frequente dell’istituto civilistico nella pratica giudiziaria.

Nel caso delle tariffe aeree il prezzo di riferimento – il prezzo “giusto” è rigorosamente determinato grazie a un dato statistico di immediata rilevazione. L’indice della sproporzione è individuato, infatti, dal decreto con criteri ampiamente garantistici a favore delle compagnie aeree nel prezzo 200 per cento superiore al prezzo medio dei servizi abitualmente prestati. Il decreto focalizza con apprezzabile precisione il requisito dello sfruttamento delle condizioni di necessità del contraente debole, consistente o nell’indebita profilazione dell’utente nel momento o nel modo della prenotazione, ovvero, peggio ancora, nello sfruttamento di condizioni oggettive di necessità. Molti ricordano la deplorevole situazione che si verificò nel mese di giugno scorso quando, per un blocco del traffico ferroviario a causa del guasto di alcuni snodi elettrici del centro Italia, molti cittadini si videro costretti a ricorrere a un imprevisto volo aereo. Le tariffe schizzarono in alto in modo abnorme, determinando un ingiusto vantaggio delle compagnie con danno ingente dei viaggiatori.

La fissazione dinamica delle tariffe può, a certe condizioni, essere accettabile, purché sia in ogni caso rispettato il principio di proporzionalità. Il prezzo inferiore per chi prenoti a distanza dal volo è giustificato dalla certezza del profitto che la prenotazione garantisce anticipatamente alla compagnia. Il prezzo crescente per chi prenoti negli ultimi giorni o nell’immediata prossimità del viaggio può essere giustificato in chiave di proporzionalità dalla corrispettività tra il bisogno urgente del viaggiatore e la pronta disponibilità della compagnia a soddisfare l’urgenza. Non sono in alcun modo accettabili, invece, modulazioni dei prezzi in base alla profilazione socio-economica dell’utente, tramite dati ricavati dal web, al fine di alzare il prezzo fino al punto di presumibile esaurimento delle risorse dell’utente. Neppure sono ammissibili modulazioni dinamiche che frantumino quel rapporto di proporzione che trova il riferimento normativo nell’articolo 1448 del Codice civile.

La violazione della proporzione, nei casi presi in considerazione dal decreto, è tanto più grave se si pensa che essa concerne un servizio essenziale di utilità generale, che l’imprenditore deve esercitare alla luce dei programmi e sotto i controlli necessari perché si coordini con i fini sociali (articolo 41, comma 3 della Costituzione). Suona perciò assurdo che, in uno Stato di diritto costituzionale, gli amministratori delle compagnie di volo rivendichino il “diritto” di fissare i prezzi e definire i servizi come meglio credono e che le misure assunte dal Governo sarebbero “illegali”, perché avrebbero “conseguenze indesiderate” per le compagnie aeree. Tali espressioni, di puro conio ultraliberista, basate sul concetto anticostituzionale del potere assoluto del mercato, ripropongono nella postmodernità le posizioni tipiche del più cieco e ottuso dogma individualistico del primato della volontà nel contratto. La volontà manifestata da una parte non è legge esclusiva del rapporto giuridico, tanto più nei casi in cui, come accade per il segmento di mobilità del traffico aereo, vi sia una abnorme asimmetria tra le parti del rapporto contrattuale, tra la compagnia multinazionale e il singolo viaggiatore, isolato in un universo tecnologico, guidato dal famoso algoritmo, del cui tenore egli non è a conoscenza e i cui effetti egli deve inesorabilmente subire per soddisfare al suo bisogno.

Per troppo tempo al principio costituzionale della giustizia sociale, che si basa su valori culturalmente diffusi e ha per criterio di misura la dignità e il benessere delle persone, si è sostituito il concetto di giustizia del mercato, risultante dal valore che esso attribuisce con automatismi inaccettabili, noti soltanto alla parte dominante del rapporto, alle prestazioni dei contraenti. La nostra società si sta pericolosamente abituando alle determinazioni assolutistiche e senza spiegazioni che provengono anonimamente dal mercato, dietro cui si celano coloro che ne determinano i rialzi e i ribassi. È veramente l’ora che i cittadini si rendano conto dell’irrazionalità delle leggi del mercato, che favoriscono i detentori del potere economico e finanziario e, singolarmente o tramite le associazioni dei consumatori, chiedano alle istituzioni pubbliche, di volta in volta competenti, gli interventi atti ad equilibrare l’asimmetria dei rapporti contrattuali, paralizzando gli arricchimenti sine causa dei contraenti forti a danno di quelli deboli.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 29 agosto 2023 alle ore 15:42